Le iniziative di lead nurturing hanno lo scopo di mettere in contatto un’azienda con i suoi potenziali clienti e di costruire con loro una relazione che diventa più solida man mano che si avvicinano all’acquisto. Di fatto, una campagna di lead nurturingattentamente programmata e basata sull’ascolto dimostra quanto un’azienda tenga ai suoi potenziali clienti.
Attraverso i processi di lead nurturing le aziende sono in grado di ottenere informazioni sui potenziali clienti ogni volta che interagiscono con loro. In questo modo i marketer hanno maggiori probabilità di comprendere obiettivi e specifiche esigenze dei diversi segmenti di pubblico e di creare sulla base dei dati raccolti contenuti più in linea con gli interessi e le aspettative del loro target.
Il marketing, in particolare, incorpora una dimensione più propriamente proattiva del concetto di “nurturing”, traducendola in una serie di azioni intese a costruire un’esperienza di acquisto e di consumo che possa replicarsi nel tempo e che sia effettivamente positiva: utile, rilevante, coinvolgente. Quando parliamo di lead nurturing, intendiamo proprio questo: le tecniche che i marketer pensano, programmano ed eseguono per convertire un lead in un cliente e, nel migliore degli scenari possibili, anche in un promotore.
Gli utenti che navigano, anche frequentemente, tra le pagine del sito web di un brand o ritornano sui suoi canali social sono tendenzialmente ancora lontani dall’acquisto. Ecco perché è necessario progettare una strategia di lead nurturing: per guidare il visitatore in un percorso di progressive conversioni.
I cinque esempi di lead nurturing che riportiamo di seguito, ciascuno inserito in una fase precisa del customer journey, illustrano cinque tecniche grazie alle quali un’azienda può connettersi più profondamente con i suoi potenziali clienti, promuovendo in ultimo la loro fidelizzazione e creando valore a lungo termine.
L’azienda si presenta: le campagne “introduttive” di lead nurturing
Le campagne “introduttive” di lead nurturing hanno l’obiettivo di aprire un canale di comunicazione e di far conoscere il brand. Ci troviamo in una fase molto importante che può determinare il modo in cui il singolo lead percepirà l’azienda nel breve e soprattutto nel lungo periodo. È in questo momento iniziale che l’azienda ha modo di far sapere ai suoi potenziali clienti che cosa possono aspettarsi, non solo in termini di prodotti e servizi ma anche di sistemi di valori. Per questo è fondamentale sia scegliere il tone-of-voice più appropriato sia valutare attentamente dove e quando distribuire i primi messaggi. I contenuti che possono giocare un ruolo importante in questa fase sono le email di benvenuto e i video.
1. Email di benvenuto
Uno degli esempi di lead nurturing che in questa fase offre maggiori garanzie di successo è la email di benvenuto, da inviare non appena ricevute le informazioni di contatto di un lead – informazioni che possono provenire da più fonti: da un abbonamento a una newsletter, per esempio, o da un lead magnet (qualsiasi contenuto gratuito, PDF, audio o video, che funzioni come incentivo per gli utenti che visitano il sito convincendoli a lasciare i loro dati). Se qualcuno si iscrive alla mailing list o compila un form di contatto, d’altra parte, sta già dimostrando un certo grado di interesse verso un determinato argomento, prodotto o servizio. L’email di benvenuto, oltre che ringraziare, consente di presentare l’azienda e offre una panoramica dei passaggi successivi che l’utente può decidere di compiere se vuole continuare la sua esperienza con il brand.
Vera e propria attività di nurturing, l’onboarding consente ai lead di un’azienda di conoscere e prendere confidenza con prodotti e procedure. Per potersi dire riuscito un programma di onboarding deve predisporre contenuti tutorial graduali, progettati per guidare gli utenti passo passo e per far prendere loro dimestichezza con una realtà che ancora non conoscono, sia essa l’offerta di una dato prodotto o servizio o la storia di un brand. È, se così possiamo dire, una sorta di servizio educativo, che permette ai potenziali clienti di evitare gli ostacoli o superarli agevolmente, minimizzando attriti che potrebbero spingerli ad abbandonare subito il percorso pensato dall’azienda.
2. Video
Quando è necessario informare in tempi rapidi e in maniera diretta sugli usi di un prodotto e sull’introduzione di nuove componenti, le imprese scelgono sempre più di utilizzare i video – spesso personalizzati e dotati di interattività –, integrandoli nelle loro strategie di onboarding. L’onboarding è in effetti un processo di grande valore e importanza strategica, cruciale nello sfruttare a pieno il primo contatto con un potenziale cliente. Per la sua abilità nel guadagnarsi l’interesse degli utenti, combinata alla capacità di attuare una comunicazione più trasparente e completa, il video si conferma come uno strumento in grado di migliorare una grande varietà di processi e come una risorsa che può essere impiegata con successo dalle differenti funzioni aziendali, in primis ma non esclusivamente, marketing, vendite e HR.
L’azienda si differenzia: le campagne di lead nurturing “cosa possiamo fare per te”
Man mano che acquisisce informazioni sui suoi potenziali clienti, l’azienda produce contenuti che devono servire a mostrare come le sue soluzioni forniscono risposte concrete e puntuali a bisogni sempre più precisi. Ci troviamo nella parte alta del funnel, quella in cui i contenuti formativi ed educativi possono avere una forte presa: i potenziali clienti sono stati raggiunti selezionandoli dall’elenco dei contatti oppure hanno risposto a una call-to-action, magari relativa a un’offerta che ha attirato la loro attenzione, e ora spetta all’azienda raccogliere maggiori informazioni possibili su loro bisogni e preferenze e sviluppare contenuti via via sempre più profilati.
I lead hanno appena fatto la conoscenza del brand, forse sono in prova gratuita o magari hanno sottoscritto un servizio freemium: insegnare loro come utilizzare un prodotto o come sfruttare a pieno i vantaggi di un servizio, magari attraverso la descrizione di casi d’uso, può cementare un rapporto ancora “acerbo”.
Preparare diversi tipi di contenuti dà al lead la possibilità di scegliere l’alternativa che più si adatta al suo stile di apprendimento. Gli explainer video, per esempio, che mostrano un determinato prodotto in azione in uno o più contesti d’uso, sono perfetti per fornire le informazioni indispensabili a iniziare a usarlo. È però la social proof la tattica migliore di questa fase, grazie alla quale l’azienda riesce a sottolineare con maggiore forza gli elementi di differenziazione competitiva.
3. Social proof
Ancora oggi, nel mondo iper digitalizzato in cui viviamo, il caro vecchio “passaparola” si dimostra eccezionalmente potente nell’influenzare la decisione di una persona, in particolare se compare nella forma delle recensioni on line. Inserire nelle mail che periodicamente un brand invia agli iscritti alla sua mailing list un focus sui suoi prodotti corredato dai resoconti dei clienti che li hanno già acquistati, è sicuramente più convincente che fornire semplicemente una scheda tecnica, per quanto dettagliata. La lista dei prodotti in un momento iniziale può limitarsi ai best-seller per poi arrivare a comprendere una selezione più mirata mano a mano che il brand approfondisce il profilo del singolo lead.
E poiché il prodotto o il servizio hanno probabilmente più di una funzionalità, i marketer possono ricorrere ad azioni di drip email campaign, una successione di email inviate automaticamente in base a una pianificazione prestabilita, ciascuna delle quali contenente la testimonianza di un cliente su una particolare funzionalità.
L’azienda accelera: come dare un boost alla campagna di lead nurturing
Può accadere che la progressione del lead durante il suo journey a un certo punto rallenti o addirittura si arresti un momento prima dell’acquisto: è un fenomeno fisiologico ma non deve essere sottovalutato. Una buona lead nurturing strategy dovrebbe prevedere una serie di azioni di consolidamento con cui rimuovere eventuali attriti e accelerare la decisione di acquisto. Si tratta di campagne che vanno attentamente pianificate insieme al dipartimento vendite e che si servono di strumenti avanzati, tool che sono in grado, per esempio, di formulare stime attendibili sul ROI di ciascuna iniziativa.
In questa fase l’azienda dovrebbe avere ormai maturato una conoscenza più accurata dei suoi lead: su quale pagina trascorrono più tempo o ritornano più spesso? Cliccano oppure no sui post che appaiono sui canali social? Quante volte e per quanto tempo guardano il video contenuto nell’ultima mail inviata? Una volta individuati i touchpoint in cui è più probabile intercettare i potenziali clienti le azioni di lead nurturing devono rassicurarli, fornire approfondimenti, coinvolgerli. È adesso che una mossa più audace come una proposta di sconto potrebbe funzionare.
4. Sconti e promozioni
Offrire uno sconto ai nuovi lead è una strategia comune per aumentare la probabilità del primo acquisto (o dei primi acquisti). Se il lead compra il prodotto o il servizio oggetto della proposta commerciale, la qualità dell’esperienza deve però essere assolutamente positiva. Il rischio, altrimenti, è di perdere quel credito minimo che il brand aveva guadagnato con l’interazione iniziale.
L’azienda può anche spingersi oltre la semplice offerta del semplice sconto. Può per esempio articolare la promozione nella forma di un quiz interattivo in cui l’utente è chiamato ad esprimersi sui prodotti che preferirebbe acquistare tra quelli presentati (dando contemporaneamente all’azienda un’idea più precisa dei suoi gusti).
Un contenuto interattivo associato a una promozione rende più appetibile l’acquisto: grazie alle sue risposte l’azienda può inviare al lead promozioni più mirate. Per rendere meno onerosa o rischiosa l’iniziativa il marketing è consigliabile prevedere alcune clausole che regolino la concessione dello sconto (stabilire per esempio l’importo minimo dell’ordine).
5. Messaggi “carrello abbandonato”
A volte un potenziale cliente si avvicina al completamento di una vendita e poi decide di non proseguire: abbandona il carrello. Il lead nurturing non si limita a registrare la battuta d’arresto, non si arrende: il lead in questione è stato qualificato nel corso del suo precedente viaggio, è un potenziale cliente di cui l’azienda sa già molte cose… lasciarlo andare senza fare neanche un tentativo di trattenerlo potrebbe essere un’occasione persa. E allora vale la pena inviare un promemoria: un messaggio di testo con un collegamento diretto al carrello e un invito gentile e spiritoso – mai pesante o eccessivamente ironico – a terminare il check-out, magari facendo riferimento agli articoli che il consumatore si sta lasciando alle spalle.
Per convincere questo lead indeciso, un’azienda può tentare diverse azioni: può inviare social proof che riguardano quegli specifici prodotti o offrire uno sconto per rendere l’offerta più allettante, o ancora, ricordare l’opportunità del reso gratuito.
Potere del lead nurturing: un processo che valorizza le relazioni brand-cliente
In questo articolo abbiamo scelto cinque esempi di tattiche che meglio di altre mostrano la potenza del lead nurturing, inteso come processo di comunicazione capace di valorizzare le relazioni brand-cliente in ogni fase del customer journey.
Il lead nurturing è una strategia organizzata con l’obiettivo di trasformare il “potenziale” cliente in un cliente “permanente”. Ricomprende tutte le interazioni che avvengono lungo il percorso di acquisto e si propone di guidare l’utente-visitatore in un percorso di progressive conversioni. Le persone che lavorano nel team marketing devono organizzare le loro attività per gestire nel modo più incisivo possibile questi passaggi che corrispondono ad altrettanti stati del consumatore digitale: dal visitatore al cliente al supporter.
Attraverso le campagne di lead nurturing non solo vengono create occasioni di conoscenza preliminare ma sono poste in essere azioni tese a consolidare e mantenere vitale un rapporto già esistente. Il nurturing di cui il brand deve farsi carico è destinato ad essere alimentato per tutto il tempo in cui i clienti rimangono in contatto con l’azienda, e, per i brand più lungimiranti, anche dopo. Far crescere numero e soprattutto qualità dei lead è ormai diventata una priorità per le aziende, che concordano nel ritenere vantaggioso un nurturing a “ciclo lungo”.
Le iniziative più efficaci di lead nurturing creano inoltre engagement perché, per loro stessa natura, sono inevitabilmente pertinenti, sono cioè in grado di allineare specifici contenuti a determinate fasi del customer journey. Sapere in quali fasi del processo di acquisto si trovano i potenziali clienti (e magari per quanto tempo e con quale frequenza) e fornire contenuti che soddisfano le loro esigenze (annunci, pagine web, email o altro) è di gran lunga il modo più efficace per avvicinarli di un passo all’acquisto. Tanto è vero che targettizzare gli utenti con contenuti rilevanti rispetto alla posizione che occupano nel loro “viaggio” produce tassi di conversione superiori.
Creare coinvolgimento e attivare relazioni pertinenti (che qui è un altro modo per dire “personalizzate”) sono le due capacità che rendono oggi le strategie di lead nurturing assolutamente irrinunciabili.