Grazie a una loro costitutiva vocazione narrativa, podcast e video sono oggi tra gli oggetti mediali preferiti dai marketer. La fiction-ability, vale a dire la capacità di creare narrazioni, è infatti una competenza estremamente richiesta dalle aziende che la impiegano per sviluppare strategie di branding attraverso le quali intercettare e influenzare il consumo contemporaneo.
In un’economia fondata sulla comunicazione, podcast e video sono dunque accomunati da un destino identico e da uno stesso potere trasformativo dell’immaginario collettivo: costituiscono congegni narrativi dotati di specifiche ingegnerie del racconto che sono in grado di rendere autentici, credibili e significativi i mondi finzionali creati dai brand. Il titolo “Podcast vs video” rappresenta allora una piccola provocazione: in questo articolo cercheremo di spiegare come, all’interno di un piano di marketing strutturato, a risultare vincente non sia in realtà la formula “podcast o video” quanto piuttosto quella “podcast e video”. È in una relazione dialogica che entrambi sembrano infatti funzionare meglio: due strumenti utilizzati più efficacemente se vengono concepiti come complementari e non alternativi.
> INFOGRAFICA GRATUITA – Podcast: passato, presente e futuro dei contenuti audio
Podcast o video: quale scegliere?
Il podcast, soprattutto in Italia, è un format giovane e in continua evoluzione e non è facile riuscire a coglierne i tratti distintivi. Per chiarire eventuali dubbi su cosa è un podcast invitiamo a leggere un nostro articolo dove forniamo contesto e definizione generale. Per saperne di più sulla specificità dell’esperienza di consumo di contenuti video rimandiamo invece alla sezione del nostro blog sul Video Marketing.
Qui ci concentreremo soprattutto sulle somiglianze e sulle differenze tra questi due mezzi espressivi: podcast o video, appunto.
1. Podcast o video? Fanno entrambi parte di uno stesso sistema mediale
Che si tratti di podcast o video, essi riflettono entrambi, compiutamente, l’estetica dell’epoca in cui viviamo, un’epoca di fiction economy, in cui i simboli, le immagini, i contenuti audio costituiscono una fonte diretta di valore economico (Fulvio Carmagnola, Il consumo delle immagini: Estetica e beni simbolici nella fiction economy). Detto in altre parole: podcast e video partecipano a uno stesso ecosistema di contenuti (testuali e visivi) che producono allo stesso tempo azioni e significato, anche economici.
2. I podcast possono essere consumati ovunque, i video no
Grazie al loro formato e sistema di distribuzione, i podcast sono incredibilmente versatili, il che li rende un’ottima opzione per raggiungere il pubblico target, ovunque si trovi. Avere la possibilità di scaricare i podcast (o di ascoltarli online da mobile) e fruirli quando e dove si preferisce (a casa, al lavoro, in palestra, in macchina, durante un viaggio) li rende estremamente appetibili per le aziende che intendono aumentare le loro possibilità di connessione.
Anche il video, d’altra parte, è diventato sempre meno “impegnativo”: le piattaforme di streaming stanno rendendo il processo di visione dei contenuti sempre più fluido e libero da frizioni, con contenuti istantaneamente disponibili, a volte anche senza pubblicità. Il video, però, non ha quella natura interstiziale che è invece propria del podcast: ci sono momenti in cui non può essere fruito, come in alcune situazioni di mobilità (dal guidare fino in ufficio, fare jogging o portare a spasso il cane), o richiede un’attenzione e un coinvolgimento esclusivo del senso della vista, tali da non consentire lo svolgimento di altre attività.
3. I podcast hanno piattaforme multiple, i video hanno YouTube
Quando si tratta di podcast, le piattaforme in cui caricare i contenuti e condividerli sono molte, diverse, tendenzialmente facili da gestire ed economiche. Se una piattaforma non soddisfa determinate esigenze, è possibile passare con relativa facilità a un’altra.
Nel caso della creazione e distribuzione di video la situazione cambia decisamente: è vero che esistono differenti piattaforme di distribuzione video ma con i suoi 2 miliardi di utenti in tutto il mondo (Statista, 2019) YouTube rimane di gran lunga il servizio dominante e a dicembre 2019 risultava essere anche la piattaforma social preferita dagli italiani, con 36,2 milioni di utenti, contro i 35,9 milioni registrati su Facebook (oberlo.it).
4. I podcast hanno bisogno di attrezzature più leggere e competenze meno specialistiche (ma solo nel caso di prodotti amatoriali)
Questo punto necessita di una distinzione preliminare, tra podcast amatoriali e podcast professionali: anche se le “barriere all’entrata” per la produzione di contenuti audio sono piuttosto basse, nel caso dei podcast realizzati professionalmente – che si propongono la creazione di prodotti di buona qualità – sono comunque necessarie una struttura produttiva articolata e competenze specializzate (per approfondire leggi i nostri 10 consigli per realizzare un podcast perfetto).
Fatte le dovute premesse, attrezzature professionali di buon livello sono in effetti meno indispensabili per il podcasting amatoriale (bastano in teoria un laptop e un microfono) rispetto a quanto richiesto dalla produzione video dello stesso livello. La scelta del podcast, inoltre, si adatta meglio a chi non ha esperienza di lavoro con apparecchiature video o potrebbe non sentirsi a proprio agio davanti a una telecamera: la flessibilità, l’accessibilità e un più basso rischio di impresa offerti da una soluzione solo audio rendono il podcast un contenuto alla portata anche di autori e fonici che non hanno una formazione giornalistica tradizionale o un background cinematografico.
5. I podcast riescono a mantenere a lungo l’attenzione e l’interesse del pubblico (ma c’è un ritorno del long form anche per i video)
Secondo l’ultimo rapporto condotto in Italia da Nielsen per Audible, 6 intervistati su 10 hanno ascoltato almeno un podcast e l’ascolto medio è stato di 25 minuti, due minuti in più rispetto al 2019 (brand-news.it), un tempo lunghissimo durante il quale le persone scelgono di concentrarsi e farsi coinvolgere. In questo senso il podcast può vantare una soglia ottimale di attenzione (ad.spotify.com): “L’audio è per sua natura una forma di comunicazione molto intima, e i podcast portano questo livello di intimità a un livello ancora superiore rispetto agli altri tipi di audio. A differenza di altri mezzi di comunicazione, molti podcast sono mirati a un pubblico di nicchia”.
Sono numerose le aziende che stanno imparando a sfruttare questa capacità di connessione con pubblici particolarmente attenti e ricettivi e che usano i branded podcast per raggiungere una serie di obiettivi commerciali quali migliorare la percezione del brand, offrire una nuova prospettiva sui messaggi istituzionali o sulle linee di prodotto, raggiungere pubblici rilevanti, promuovere l’ascolto dei contenuti sponsorizzati, aprire un canale di comunicazione con potenziali clienti interessati al mezzo, creare communities di consumatori attive.
Negli ultimi tempi, e nell’ultimo anno in particolare, con i lockdown che hanno reso il digital sempre più centrale all’interno del consumer journey, gli utenti hanno ricominciato ad accordare le loro preferenze al long form anche per quanto riguarda i contenuti video. Già nel 2018, secondo un rapporto di Ooyala, importante società di analisi video, il consumo di long form video era aumentato su tutta la linea, con il consumo totale di video su smartphone che aveva registrato un balzo dal 47% dell’anno precedente al 54% del primo trimestre del 2018 (statista.com). E sempre nel 2018 Instagram aveva lanciato IGTV, l’app che consente la creazione e pubblicazione di video lunghi ben oltre i 60 secondi permessi fino a quel momento. Mentre sempre di più i contenuti audio di lunga durata dei podcast si affermano come risorsa preziosa al servizio della comunicazione aziendale, sembra dunque essere in corso anche un ritorno del long form video. Entrambi gli oggetti, con modalità sicuramente diverse e in differente misura, offrono ai brand un accesso privilegiato a comunità di ascoltatori già qualificati e mobilitati.
Podcast o video: due proposte di collaborazione
I podcast e i video costituiscono entrambi, se impiegati al meglio delle loro possibilità tecniche e narrative, degli asset strategici al servizio del brand. Lungi dall’essere alternativi l’uno all’altro o in opposizione tra loro, possono dar vita a interessanti sinergie, sia che siano giustapposti all’interno di un unico format, ed è il caso dei video podcast, sia che convivano su diversi assi della content strategy.
1. Video + podcast= podcast video: l’elemento visivo per aggiungere umanità
Un podcast video è un podcast con un elemento video. L’elemento video può essere semplice o complesso, può consistere in una singola immagine statica o in una registrazione video degli host e degli ospiti del podcast. Perché utilizzare un podcast video all’interno di un piano marketing? Secondo castos.com i motivi sono sostanzialmente quattro.
- Le persone amano guardare i volti. Gli esseri umani sono creature visive. Il 30% del nostro cervello è coinvolto da ciò che vedono i nostri occhi. E amiamo particolarmente i volti. I neonati indirizzano il loro sguardo verso le facce già a 24 ore dalla loro nascita. Invecchiando questa tendenza sembra diventare ancora più forte: dai tratti del viso, dalle sfumature emotive comunicate attraverso le espressioni, ci arriva una grande quantità di informazioni. Aggiungere un contenuto video in cui compaiono dei volti (per esempio quelli di chi parla) può aiutare il pubblico a stabilire connessioni più profonde con la storia raccontata.
- Il video apre a un pubblico più ampio. Aggiungendo un elemento video al podcast è possibile avere accesso a un pubblico più vasto e generalista. In questo caso si tratta di definire in modo onesto quali obiettivi di comunicazione ci prefiggiamo: vogliamo allargare la platea dei potenziali clienti perché siamo interessati ad espanderci in nuovi mercati? Oppure preferiamo qualificare verticalmente il nostro target, attraverso la costruzione di una relazione privilegiata ed esclusiva?
- Il video è molto più social. Le clip audio, quando pubblicate sui social media, non sono immediatamente coinvolgenti come i video. I video sui social media sono infatti impostati per la riproduzione automatica, ma senza audio. Questo perché le piattaforme di social media sono ottimizzate per i video, e non per l’audio, che è disattivato per impostazione predefinita. L’aggiunta di video aumenta l’engagement per gli utenti dei social media nel momento in cui trovano il podcast nel loro feed.
- Una buona parte del lavoro è già fatta. In termini di tempo e lavoro, non c’è molta differenza tra la creazione di un podcast e la creazione di un podcast video. Bastano alcuni passaggi aggiuntivi per aggiungere un elemento video, a fronte di un budget limitato.
2. Video o podcast? Integriamoli entrambi nel marketing mix
Video e podcast fanno parte, per dirla con Andrea Fontana, di un content continuum fatto di iper-contenuti, “argomentazioni di alta qualità e nutrienti”, in cui “la maggior parte delle informazioni che circolano sono fruite attraverso format narrativi” (Andrea Fontana, Storie che incantano, pp. 21, 23). Anche se condividono una comune vocazione all’approfondimento, possono essere utilizzati come item dotati di una propria identità e una propria autonomia. All’interno della content strategy assolvono funzioni comunicative diverse e sono quindi utilizzati nel modo più efficiente in parallelo, evitando in questo modo ridondanze o sovrapposizioni.
Podcast e video, come abbiamo visto, convivono all’interno di uno stesso universo simbolico, quello della marca nel caso del marketing di un brand, e se sono realizzati rispettando le rispettive specificità, possono dimostrarsi perfetti dispositivi narrativi, in grado di attivare modalità virtuose di creazione del valore reputazionale e comunicativo di una persona, un prodotto o un marchio.
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