Articolo aggiornato al 17/05/2022
Misurare la customer satisfaction: qualcosa di necessario
Per misurare la customer satisfaction non c’è un solo modo, eppure è innegabile la sua importanza: solo un cliente soddisfatto è un cliente che torna, che compra di nuovo, che è disposto a pubblicizzare l’azienda.
Misurare la customer satisfaction è una cosa importantissima per ogni azienda che operi sul mercato.
Già da tempo, infatti, il consumatore è diventato più esigente e non si accontenta più di acquistare un prodotto dalle ottime caratteristiche tecniche. Al contrario, ciò che ogni cliente cerca è una esperienza di acquisto memorabile, che vada oltre la semplice scelta di un prodotto da comprare. Non a caso, tutte le aziende stanno cominciando ad investire risorse, tempo e attenzione per sviluppare la propria customer experience in modo adeguato.
Ma se investire sull’esperienza di acquisto offerta ai clienti è un’ottima mossa, praticamente obbligata, ci si può chiedere come fare ad essere sicuri che tale esperienza sia davvero adeguata per garantire un elevato grado di customer satisfaction.
La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: occorre utilizzare dei metodi statistici oggettivi che permettano di capire se un cliente è soddisfatto, da cosa e cosa invece lo infastidisce e lo frustra.
Dal momento che molte di queste considerazioni sono qualitative e dunque difficilmente rappresentabili in modo oggettivo, il tema della valutazione della customer satisfaction solleva delle criticità non trascurabili. Anche per questo, come vedremo, esistono diversi approcci alla materia, che privilegiano un aspetto piuttosto che un altro; tutti sono validi e si possono utilizzare a seconda di quale sia il contesto o di quale sia l’aspetto più rilevante per l’azienda.
Tuttavia, prima di concentrarci su come misurare la customer satisfaction è bene fare una premessa.
Customer satisfaction: una definizione
Alla base di tutti i successivi discorsi sulla questione c’è, come sempre, una definizione da fornire in premessa, anche se in questo caso sono due.
Per prima cosa bisogna capire cosa si intende per customer satisfaction.
Secondo la definizione più condivisa, customer satisfaction è “la percezione del cliente che il sistema di offerta di un’azienda ha raggiunto o superato le proprie aspettative relativamente all’insieme di benefici e costi per lui rilevanti ai fini dell’acquisto e della fruizione di quel sistema di offerta” (fonte: glossariomarketing.it).
Dalla definizione è chiaro il legame che c’è con la customer experience che è lo “strumento” con cui si può ottenere di fatto questa soddisfazione. D’altro canto, non è solo nell’oggetto, ma anche nell’esperienza di acquisto che il cliente vede soddisfatte le proprie aspettative e i propri bisogni.
Tra l’altro, questo tipo di esperienza non si limita assolutamente agli aspetti fisici (l’aspetto degli store, la loro accessibilità, la pulizia o la fila alle casse). Al contrario, ormai la customer experience si estende anche ad altre “dimensioni”, come quella digitale.
Tutto ciò, ovviamente, grazie alla trasformazione digitale che ha permesso alle aziende di amplificare l’esperienza offerta ai consumatori andando al di fuori dello store fisico.
Questo significa che un cliente soddisfatto non è solo quello che trova lo store pulito, poca coda alle casse o facilità di accesso nello store, ma è anche quello che vive un’esperienza di acquisto omnicanale attraverso il proprio smartphone, che naviga facilmente nell’e-commerce dell’azienda o che può contattare il customer service ricevendo una risposta in ogni momento.
Quindi ci sono tante cose che concorrono alla soddisfazione del cliente, ma questo punto però è legittimo porsi una domanda.
Cosa occorre fare per valutare la customer satisfaction?
Come prima cosa, bisogna distinguere l’oggetto di valutazione da parte del cliente.
La soddisfazione dello stesso, infatti, può essere legata al rapporto con l’impresa oppure può riguardare le aspettative che lo stesso ha nei confronti dell’oggetto acquistato o del servizio di cui ha usufruito. Ovviamente, i due aspetti non sono alternativi, anzi spesso l’uno è connaturato all’altro, dal momento che migliore è il rapporto con l’azienda e il brand, più probabile è che il cliente sia soddisfatto del prodotto/servizio ottenuto.
In secondo luogo, è necessario individuare il target di riferimento più adeguato per valutare la soddisfazione dei propri clienti. In questo senso, il campione scelto deve esser il più possibile rappresentativo, ovvero deve essere capace di esprimere l’intera collettività poiché contiene tutte le caratteristiche dell’intera clientela, seppur in modo proporzionale.
Questo significa che la scelta del campione è particolarmente delicata, dal momento che bisogna essere sicuri di non escludere nessuno degli individui appartenenti all’universo di riferimento. Ecco perché può essere particolarmente utile tenere conto di alcune caratteristiche per campionare correttamente la propria clientela, come ad esempio quelle socio-demografiche (la fascia di età, la professione, il sesso, la nazionalità), quelle geografico-territoriali (provenienza, contesto famigliare) e quelle temporali.
A queste si deve aggiungere anche la variabile merceologica: non ha senso, infatti, valutare la customer satisfaction se si escludono gli acquirenti di un certo tipo di prodotto o di servizio.
Un’altra condizione fondamentale per analizzare in modo efficace la customer satisfaction è avere un ottimo tempismo.
La verifica della soddisfazione del consumatore deve, infatti, avvenire immediatamente dopo l’acquisto del prodotto o del servizio, in modo tale che il ricordo nella mente dello stesso sia chiaro e veritiero e non venga confuso dal tempo che passa. Da questo dipende anche la qualità delle risposte che si ottengono: ad esempio, se la sottoposizione dei un questionario avviene molto dopo, il rischio è quello di ricevere dei riscontri imprecisi e poco chiari, che risultano sostanzialmente inutilizzabili.
Per valutare la customer satisfaction occorre un metodo
Date queste tre premesse, ce n’è una quarta che presentiamo per ultima ma di certo non per importanza.
Per valutare la soddisfazione del cliente, infatti, occorre scegliere un metodo dal momento che non c’è una sola metodologia, anche perché dal punto di vista statistico non esistono criteri univoci e universalmente condivisi per misurare la customer satisfaction.
Uno dei più diffusi è il cosiddetto metodo ServQual, che è l’abbreviazione di Service Quality.
Tale metodo si basa sulla valutazione del delta che intercorre tra le aspettative e le percezioni dei clienti. In particolare, secondo questo metodo, la customer satisfaction è intesa come la “funzione delle discrepanze fra le prestazioni o caratteristiche attese per il prodotto ideale e quelle percepite nel prodotto reale” (fonte: glossariomarketing.it).
Solitamente, questo tipo di metodo viene usato per realizzare delle ricerche di mercato finalizzate al monitoraggio del livello qualitativo di un servizio o di un insieme dei servizi forniti dall’impresa committente.
Lo strumento principe della rilevazione della qualità percepita è il questionario, che viene sottoposto ad intervalli regolari alla clientela in modo da ottenere la valutazione delle prestazioni fornite.
Un’alternativa al ServQual: il modello Kano
Uno dei metodi di rilevazione alternativi della customer satisfaction è il cosiddetto modello Kano, che nasce negli anni ’80 e che si basa sull’individuazione di cinque attributi che un cliente si aspetta da un prodotto o da un servizio e da cui, dunque, dipende la sua stessa soddisfazione.
La prima categoria di attributi è la “Must be Quality”, che comprende tutti quei requisiti che la clientela si aspetta in modo naturale, in quanto intrinseci al prodotto o al servizio acquistato (ad esempio il fatto che acquistando un biglietto aereo, io abbia diritto ad un posto a sedere sull’aereo).
Mancando questi requisiti il cliente si trova naturalmente deluso e insoddisfatto, mentre se gli stessi sono presenti, il cliente sarà semplicemente neutrale dal momento che rappresentano una sorta di “livello zero” della prestazione attesa.
La seconda categoria è la “One-dimensional Quality”, che comprende quell’insieme di attributi e qualità che se sono presenti in chiave positiva, generano un buon livello di soddisfazione nel cliente, ma viceversa se presenti in chiave negativa possono invece provocare nello stesso una forte sensazione di frustrazione. Un esempio è la promessa di una determinata sorpresa nell’uovo di Pasqua: se è all’altezza delle aspettative e della descrizione fornita al cliente, lo stesso sarà soddisfatto, in caso contrario no.
La terza categoria di attributi è la “Attractive Quality”, che indica tutti quei requisiti che generano soddisfazione nel consumatore solo quando sono conseguiti in maniera completa e dunque il loro funzionamento è svolto a dovere.
La cosa interessante di questi attributi è che hanno un carattere puramente rafforzativo, ovvero aumentano di molto la soddisfazione del consumatore, ma la loro assenza non ha necessariamente un impatto negativo.
L’esempio più facile da comprendere è quello del ristorante: se viene offerta un amuse bouche all’inizio del pranzo o vengono offerti i liquori alla fine, il cliente si sentirà più coccolato, ma se dovessero mancare, questo non avrebbe un impatto negativo sulla qualità percepita della cena.
La quarta categoria è quella dell’“Indifferent Quality” e viene utilizzata per indicare tutte quelle caratteristiche che non hanno nessun impatto sulla soddisfazione del cliente, né in modo positivo né in modo negativo. Questo, però, non li rende ininfluenti: al contrario, rilevarli serve per rendere più efficiente il proprio business limando e rendendo meno costosa la customer experience offerta.
Da ultimo, il modello Kano prevede anche la “Reverse Quality”, che è quella categoria di attributi che, se realizzati, rischiano di soddisfare alcuni clienti e di infastidirne altri, dal momento che “presidiano” aspettative in contrapposizione.
Un’alternativa al metodo: il parametro Net Promoter Score
Un altro modo per valutare la soddisfazione dei propri clienti è quella di rifarsi al Net Promoter Score che è il parametro che serve ad indicare quanto il consumatore si sentirebbe disposto a consigliare un prodotto o un’esperienza ad un amico o ad un conoscente.
Sebbene questo indice sia di solito accostato alla valutazione della customer experience, a ben vedere può essere utile “di riflesso”: è ovvio, infatti, che più un cliente è soddisfatto dell’esperienza di acquisto che ha vissuto o del prodotto che ha acquistato e maggiore è la probabilità che abbia un ruolo attivo nel promuoverlo – questo è il famoso “passaparola”.
Tra l’altro, quando questo capita, significa che tra cliente e brand si è instaurato un legame speciale, poiché il cliente ha smesso di essere tale ma si è trasformato in un vero e proprio brand ambassador, che non solo apprezza i prodotti, ma addirittura aderisce ai valori del brand, trasmettendoli agli altri come se fossero i propri.
La retention fa rima con customer satisfaction
Un altro parametro utile da considerare per misurare la customer satisfaction è il customer retention rate (sigla CCR), che indica la capacità di un’azienda di tenere legati a sé i clienti che ha già acquisito. Si calcola dividendo la differenza tra il numero di clienti alla fine di un dato periodo e il numero di clienti acquisiti nel periodo, per i clienti di inizio periodo, il tutto moltiplicato per cento.
La misurazione del CCR è fondamentale e deve essere fatta costantemente nel tempo, perché permette di capire se il proprio business incontra le aspettative dei clienti e, in caso contrario, intervenire.
Tra l’altro, avere un alto livello di customer retention non solo è sinonimo di un’elevata soddisfazione dei clienti, ma permette di avere un business altamente competitivo e sostenibile sul piano finanziario, poiché è molto più costoso acquistare un nuovo cliente piuttosto che mantenerne uno già proprio.
A questo si aggiunga che un cliente fidelizzato tende a spendere molto di più e molto più spesso di un cliente nuovo: questo fa capire bene quanto sia importante la soddisfazione del consumatore anche in ottica di fidelizzazione.
Anche il modo di valutare è importante
In chiusura di articolo vale la pensa spendere due parole sulle modalità di valutazione della customer satisfaction.
Quella in assoluto più utilizzata è il questionario, che può essere sottoposto al cliente in loco oppure inviato tramite email o fatto telefonicamente. Anche in questo caso, bisogna saper scegliere quello giusto e costruirlo in modo tale che il consumatore possa compilarlo in modo rapido, senza aver la sensazione di star perdendo del tempo.
Nello stesso tempo, però, deve essere pensato per raccogliere esattamente le informazioni di cui si ha bisogno, nel modo più chiaro e più preciso possibile. Anche perché le eventuali attività di miglioramento si baseranno proprio su tutte le informazioni che si sono ottenute.
Per questo è bene prevedere almeno due sezioni di domande, una relativa all’importanza e una relativa alla soddisfazione. La prima servirà a capire quali sono le priorità e le aspettative dei clienti e quindi fornirà un’indicazione per il futuro, mentre la seconda serve a verificare come è stata l’esperienza appena vissuta e può indicare gli aspetti principali su cui migliorare la prossima volta.
Misurare la customer satisfaction con i giusti strumenti porta con sé una serie di benefici all’attività aziendale, che si rifletteranno anche sulla qualità del prodotto/servizio offerto.
La strategia è nel saper dare valore al cliente, imparare a conoscerlo e conquistare la sua fiducia. Nel clima altamente competitivo in cui ci troviamo ad operare dobbiamo tenere presente che il nostro cliente si trova circondato da migliaia di alternative proposte dagli altri competitor. Dunque, il punto di partenza é misurare la customer satisfaction, che rappresenta la vera chiave di successo per raggiungere i propri obiettivi aziendali.