Aggiornato al 27/04/2022
Italiani risparmiatori
Gli italiani sono un popolo di santi, poeti, navigatori e, a quanto pare, anche di risparmiatori.
Si sente, infatti, spesso ripetere che le famiglie italiane siano tra le più parsimoniose d’Europa, con un alto livello di risparmio personale. In questo c’è sicuramente del vero, anche se, come vedremo, non c’è più il risparmio di una volta, il quale ha cambiato composizione nel corso del tempo anche a causa del crescente senso di incertezza conseguente alla crisi finanziaria che continua a far sentire ancora oggi i suoi lunghi strascichi.
Nonostante il debito italiano sia molto alto, l’Italia ha una ricchezza privata tra le più alte del mondo e molto al di sopra della media delle famiglie europee: tra tutti i paesi industrializzati, meglio di noi fanno solo Stati Uniti, Giappone, Belgio ed Olanda. A questo si aggiunge che recentemente si è assistito ad un fenomeno positivo, in totale controtendenza con quanto accadeva negli anni precedenti, ovvero che finalmente torna a salire la ricchezza degli italiani.
In particolare, tenuto conto di tutte le attività reali, di quelle finanziarie e al netto delle passività, risulta che dopo una riduzione costante e progressiva, negli ultimi anni la ricchezza delle famiglie italiane ha registrato un aumento di ben 98 miliardi (fonte: ilsole24ore).
Ma gli italiani, con tutti questi risparmi, cosa ci fanno?
La composizione del risparmio all’italiana
La conformazione del risparmio italiano, anche a causa della crisi finanziaria dei primi anni 2000, è cambiata in alcune caratteristiche molto rilevanti, pur confermando altre dinamiche che da sempre hanno caratterizzato il nostro modello di risparmio.
Il mattone, ad esempio, si conferma uno degli investimenti principali in cui viene impiegata la ricchezza (4,6 volte il reddito disponibile), perché ovviamente rappresenta il classico rifugio nei momenti di incertezza economica e sociale.
Se tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, i risparmiatori italiani investivano volentieri nei buoni del tesoro, diventando, di conseguenza, i detentori principali di tali titoli pubblici, oggi, invece, a questi ultimi vengono preferiti i fondi pensione e di gestione del risparmio, che li detengono dunque in maniera indiretta. Ma il dato davvero impressionante relativo alla struttura del risparmio italiano è la grande quantità di risorse economiche “parcheggiate” su conti correnti non fruttiferi: il totale sarebbe di 1.371 miliardi di euro, ma il numero è destinato a crescere ulteriormente. Il numero è ancora più impressionante se si considera che questi depositi dormienti a rendita zero, equivalgono più o meno ad una intera manovra di bilancio.
Ma perché questo avviene?
Innanzitutto, perché gli italiani sono effettivamente risparmiatori molto attenti, che si lasciano guidare molto più dai timori che dalla loro personale convenienza. Lo conferma il fatto che alla domanda “Che cosa farebbe se le regalassero centomila euro” il 47% degli intervistati ha risposto “Li metterei da parte” (fonte: Corriere della Sera). Questo approccio, però, non sempre paga.
Perseguendo questa filosofia del “risparmio finalizzato al risparmio” si finisce, infatti, per lasciare che i propri risparmi vengano lentamente erosi dalle spese di gestione e dall’inflazione. Ad esempio, nel giro di 5 anni, diecimila euro lasciati immobili su un conto non fruttifero diventano poco più di 9 mila.
L’avversione all’investimento è legato anche al fatto che gli italiani percepiscono il mondo della finanza come un mondo distante e troppo tecnico, in cui è difficile entrare ed in cui è altrettanto difficile capire chi sta davvero lavorando anche nell’interesse dell’investitore. In altre parole, manca una vera e propria educazione finanziaria, che permetta ai cittadini di capire, almeno a grandi linee, come investire in modo sensato i propri risparmi.
Non è un caso che, da questo punto di vista, l’Italia, assieme a Spagna e Portogallo, si collochi in fondo alla graduatoria dei Paesi Europei per diffusione della financial literacy tra i cittadini, con un particolare divario di genere a sfavore delle donne. Del resto, emerge chiaramente dall’Indagine sul risparmio e sulle Scelte Finanziarie degli italiani, svolta dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, che c’è un forte legame tra l’orizzonte d’investimento e le conoscenze finanziarie. Chi, infatti, ha maggiori conoscenze finanziarie anche di base, tende a dare meno valore all’ottenimento di un rendimento nel breve periodo e, nello stesso tempo, adotta tutta una serie di comportamenti idonei a salvaguardare i propri risparmi.
Per riassumere: gli italiani sono un popolo di risparmiatori, come testimoniato dai risultati ISTAT, secondo cui dopo diversi anni di calo si è tornati a rilevare un certo aumento della propensione al risparmio che è arrivata a toccare quota 8,6%.
Nonostante questo, ogni cittadino potrebbe guadagnare molto di più dai propri risparmi se solo si interessasse maggiormente della materia o se si affidasse ad esperti del settore, in grado di impiegare fruttuosamente queste risorse.
In questo senso, sono fondamentali gli intermediari finanziari, anche per l’intero sistema-Paese, perché solo grazie a loro ed al loro lavoro sarà possibile trasformare patrimoni attualmente immobilizzati in pronta liquidità che le imprese potranno impiegare per sviluppare i propri business, facendo così guadagnare non solo il singolo investitore, ma l’Italia intera.
Ma esattamente, cosa si intende per intermediari finanziari, e quali sono quelli principali in Italia?
Società di gestione del risparmio: ruoli e funzioni di un player economico
Come prima cosa, quando si parla di intermediari finanziari, bisogna partire da una definizione poi procederemo col parlare delle società di gestione del risparmio.
La Consob ne fornisce una, per cosi dire, funzionale. Gli intermediari finanziari sono quegli istituti che “collegano i soggetti con surplus finanziario – i cosiddetti centri di formazione del risparmio, tipicamente individui e famiglie – e unità di deficit finanziario (che intendono realizzare investimenti), tipicamente le imprese, favorendo la trasformazione del risparmio in investimenti produttivi”.
Alla base della loro attività, evidentemente c’è un rapporto di fiducia: chi mette nelle mani degli intermediari i propri risparmi si fida della capacità degli stessi di raccogliere e gestire in maniera corretta ed efficace dati e informazioni relative allo stato dell’economia in generale e alla solidità patrimoniale particolare di chi chiede credito. Infatti, solo se l’istituto è in grado di acquisire ed elaborare continuamente informazioni di natura economica, potrà fare delle scelte vincenti in termini di ritorno dell’investimento ed assumere rischi ragionevoli e misurabili.
Tradizionalmente chi svolge il ruolo di intermediario finanziario è la banca, che però rispetto a tutti gli altri ha delle specificità. Una di queste riguarda la raccolta di risorse da impiegare in attività finanziarie. Essa, infatti, è costituita prevalentemente da depositi e conti correnti, che sono passività finanziarie rimborsabili a breve al valore nominale.
Tali risorse sono poi trasferite ad imprese e Pubblica Amministrazione, in cambio di attività finanziarie emesse da queste ultime, riuscendo così a trasformare le scadenze e i rischi e soddisfacendo la tolleranza al rischio di perdita del capitale propria degli investitori individuali e il bisogno delle unità di deficit di avere finanziamenti a non breve scadenza. Ovviamente le banche non sono gli unici soggetti che svolgono la funzione di intermediazione finanziari, ma ne esistono molti altri.
Ad esempio, ci sono le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM), che sono imprese di investimento registrate in un apposito albo tenuto dalla Consob e che svolgono servizi e attività d’investimento, oltre a poter fornire anche i c.d. servizi accessori. Oppure le SICAV (società d’investimento a capitale variabile) o le SICAF (società d’investimento a capitale fisso), che sono società per azioni che possono prestare congiuntamente il servizio di gestione collettiva e individuale dei patrimoni.
Ad essere precisi, questa è l’unica attività che possono svolgere. Dato il tipo di servizio che offrono, esse devono poi sottostare a dei requisiti molto stringenti, in modo da comprovare la solidità patrimoniale, la gestione trasparente, corretta e diligente dei risparmi a loro affidati e la professionalità e la onorabilità di sindaci, amministratori e direttore generale.
L’unico altro intermediario finanziario che può svolgere l’attività di gestione collettiva del risparmio sono le Società di Gestione del Risparmio (SGR) e ne abbiamo parlato in relazione a trasformazione digitale e digital marketing.
Anche per queste ultime sono richiesti specifici requisiti di solidità, professionalità e onorabilità, considerato che queste ultime si trovano spesso a gestire i risparmi di moltissimi individui.
L’attività di gestione collettiva, in particolare, si divide in due fasi, ovverosia quella di costituzione del fondo, di cui la società di gestione del risparmio deve occuparsi di tutti gli aspetti, compresi i rapporti con i diversi partecipanti (sottoscrizioni, rimborsi, etc.) e la gestione vera e propria, in cui viene formato il portafoglio (e qui ancora si torna al tema dell’importanza di avere un flusso costante e affidabile di informazioni).
Senza scendere nel particolare degli altri intermediari finanziari, si può dire che, in generale, tolta la raccolta a vista del risparmio privato, che è una prerogativa delle banche, gli altri intermediari finanziari svolgono una serie di attività, tra cui:
- operazioni di pagamento/incasso di denaro;
- gestione di carte di credito/debito;
- prestiti monetari (nelle diverse forme possibili);
- rilascio di garanzie e di impegni di firma;
- intermediazione non discrezionale (senza delega) di strumenti finanziari per l’investimento del risparmio privato;
- intermediazione discrezionale (su delega-mandato) del risparmio finanziario privato con diversificazione dei rischi di portafoglio (attività di gestione di patrimoni collettivi e individuali);
- investimenti diretti di risorse finanziarie, e altro ancora.
Proprio per questo ruolo specifico, che in alcuni casi è ancora più delicato per via della natura delle risorse da amministrare, sarebbe necessario che gli italiani conoscessero meglio, anche in termini base, i servizi finanziari e il loro funzionamento, così da essere più portati ad investimenti ragionevoli. Per farlo, però, occorre che gli istituti sviluppino una strategia di marketing e comunicazione che lavori proprio su questo, puntando a costruire un rapporto di piena fiducia con il cliente, che non può e non deve essere solo colui che “mette i soldi”.
Al contrario, il cliente deve essere parte attiva e coinvolta nei processi e nelle decisioni in modo che gli stessi siano comprensibili e che possano essere condivisi, al punto che lo stesso potrà sentirsi parte di un progetto di investimento volto a produrre ricchezza, per sé e per la comunità.
In questo senso, è molto utile seguire alcuni trend e alcune best practice messe in campo da chi, come le società di gestione del risparmio, si trovano a dover gestire collettivamente il risparmio privato e dunque ha la necessità ancora maggiore di creare una relazione di piena fiducia con i propri clienti presenti e futuri.