Articolo aggiornato al 26/07/2022
Dematerializzazione in Italia: qual è la situazione?
In questi anni, la trasformazione digitale ha interessato tutti gli ambiti di business della società, dalla ristorazione allo shopping passando per la finanza e l’organizzazione interna delle aziende. Ovviamente, tra tutti i settori toccati non è mancata la Pubblica Amministrazione e la fornitura di servizi al cittadino.
Del resto, la digitalizzazione ha reso accessibile un mondo di strumenti e opportunità che possono essere implementati anche nel settore pubblico, ottenendo gli stessi benefici.
Primo tra tutti, quello operativo, dal momento che la riorganizzazione dei processi interni della PA, resa possibile dalla digitalizzazione, permette di rendere più efficiente il funzionamento dell’intera macchina pubblica, a vantaggio del cittadino da un lato e di tutto il Paese dall’altro.
Un ulteriore beneficio, ugualmente importante, è quello economico, dal momento che una Pubblica Amministrazione più efficiente è anche e soprattutto una Pubblica Amministrazione che costa di meno. In questo senso, digitalizzare è auspicabile anche in ottica di spending review, poiché permette di migliorare i conti attraverso degli investimenti e non attraverso una semplice riduzione di spesa verticale.
Del resto, l’economica del taglio è di per sé miope e porta poco lontano dal momento che mostra effetti solo nel breve periodo, senza andare davvero ad incidere sulle cause ultime che comportano spese alte e un basso livello di soddisfazione.
In estrema sintesi, digitalizzare la Pubblica Amministrazione significa fare di più (e meglio) con meno. Perseguendo questa massima, tra l’altro, si potrebbe dare davvero attuazione alla nostra Carta Costituzionale e realizzare il modello di PA immaginato dai Padri Costituenti.
Per averne conferma, basta leggere l’articolo 97 della Costituzione, il quale delinea i principi cardine a cui la Pubblica Amministrazione si deve conformare. In particolare, il primo e il secondo comma recitano: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblici. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
È a partire da queste parole che si ricava il cosiddetto principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, che si identifica, tra l’altro, con l’obiettivo di tempestività ed efficienza dell’azione amministrativa e con l’economicità della gestione dei servizi pubblici. Obiettivi questi che proprio la digitalizzazione aiuta a raggiungere.
Le premesse per la digitalizzazione
Realizzare una rivoluzione digitale e rendere la Pubblica Amministrazione davvero moderna ed efficiente, attuando le parole della Costituzione, non è facile e richiede una serie di sforzi congiunti in diversi settori.
In particolare, gli ingredienti chiave che servono alla PA per digitalizzarsi sono:
- la semplificazione dei processi;
- il project financing;
- la razionalizzazione degli acquisti;
- la dematerializzazione.
Questi quattro fattori implicano necessariamente un ripensamento dell’intera struttura organizzativa pubblica, che in un certo senso deve rifondarsi, cambiando procedure, grammatiche e prospettive. Per questo, non sorprende che un cambio di pelle così radicale non sia per niente facile da compiere.
L’esempio più eclatante lo offre senza dubbio la dematerializzazione, che tra tutti è forse la condizione più importante (e più ardua) per l’effettiva digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.
La dematerializzazione in Italia: una storia che inizia da lontano
Con il termine dematerializzazione si intende la conversione di un documento cartaceo in un documento informatico attraverso un processo che è in grado di preservarne sia il valore probatorio e giuridico sia gli elementi relativi al contesto archivistico di riferimento.
Di dematerializzazione della Pubblica Amministrazione si parla da tanto tempo in Italia. Qualcosa era già presente, almeno nella sostanza, all’interno della riforma Bassanini, che aveva come scopo principale quello di modificare l’assetto amministrativo dello Stato in modo tale da renderlo più semplice ed efficace. Si tenga presente che la riforma citata risale agli anni ’90 del secolo scorso.
Di dematerializzazione si occupava poi anche il decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, emanato ormai quasi 20 anni fa. Lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale, che riunisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese e costituisce la normativa di riferimento in tema di digitalizzazione e dematerializzazione, risale al 2006.
Alla luce di questa breve e incompleta successione di date, risulta chiaro che da diverso tempo il legislatore italiano si sta prodigando per delineare una Pubblica Amministrazione più moderna, ma nonostante questo i risultati non sono ancora quelli sperati. Basti pensare, ad esempio, al consumo di carta da parte della PA.
Da sempre l’eliminazione del supporto cartaceo e la sostituzione dei faldoni con i documenti elettronici sono obiettivi perseguiti dal nostro Paese, anche perché, come si è detto, è proprio da qui, cioè da questo processo di dematerializzazione, che si deve partire per poter realizzare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. Teoricamente, questo processo si sarebbe dovuto realizzare entro e non oltre la fine di agosto 2016.
In corrispondenza di tale data, infatti, sono diventate operative le regole tecniche sui documenti informatici a cui tutte le amministrazioni pubbliche hanno il dovere di adeguarsi. All’epoca, il momento è stato celebrato con soddisfazione e indicato come un vero e proprio spartiacque tra il vecchio e il nuovo modo di concepire la Pubblica Amministrazione. Inutile dire che, di fatto, la carta continua ad essere largamente presente all’interno degli uffici amministrativi e che i passi in avanti sono stati purtroppo timidi.
Lo conferma il fatto che dal 2017 al 2018 la spesa pubblica per carta, cancelleria e stampati, è scesa da 96 milioni di euro a 87 milioni di euro, totalizzando un risparmio di appena 9 milioni. Non è molto rispetto alle aspettative. Ma questo dato, in realtà si inserisce in uno contesto più ampio e complesso, che ci restituisce l’immagine di un Paese diviso tra chiari e scuri, tra innovazione e rallentamenti.
L’Italia dematerializzata: dati e classifiche
Stando alla situazione fotografata dal DESI (acronimo che sta per Digital Economy and Society Index), ovvero dall’indice composito elaborato dalla Commissione europea (DG CNECT) per valutare lo stato di avanzamento degli Stati membri verso un’economia e una società digitali, l’Europa viaggia verso la digitalizzazione con due velocità diverse e il nostro Paese non rappresenta certo il corridore più veloce.
L’Italia, infatti, continua ad essere ferma al 25° posto della classifica per livello di attuazione dell’Agenda Digitale, come era già nel 2015, segnando alcuni miglioramenti che tuttavia non sono ancora sufficienti per permetterci di fare un vero e proprio salto di qualità.
Lo spiega bene il rapporto DESI dedicato al nostro Paese, che sintetizza così la situazione: “la sfida principale è rappresentata dalla carenza di competenze digitali. Benché il governo italiano abbia adottato alcuni provvedimenti al riguardo, si tratta di misure che appaiono ancora insufficienti. Le conseguenze risultano penalizzanti per la performance degli indicatori DESI sotto tutti e cinque gli aspetti considerati”.
Gli aspetti a cui si fa riferimento sono: connettività, uso di internet, integrazione delle tecnologie digitali, servizi pubblici digitali e capitale umano. Scendendo più nello specifico, abbiamo confermato la nostra posizione per quanto riguarda l’integrazione delle tecnologie digitali e lo sviluppo di servizi pubblici digitali (salendo ad esempio di ben undici posti in merito ai big data), mentre negli altri indicatori siamo andati peggio, piazzandoci al penultimo posto (uso di internet) e terzultimo posto (connettività), dunque ben al di sotto della media europea.
Alla luce di tutto questo viene da chiedersi se effettivamente l’Italia sarà mai in grado di concludere questo difficoltoso percorso di dematerializzazione e compiere così quella rivoluzione digitale che da tanto tempo si sta aspettando.
Esempi virtuosi da cui ri-partire
In Italia ci sono diversi casi virtuosi in materia di digitalizzazione e dematerializzazione, che dimostrano che quando ci sono la volontà, le conoscenze e la collaborazione è possibile innovare come e meglio che in altri Paesi Europei.
La fatturazione elettronica
Partiamo con un esempio macroscopico, che riguarda tutto il sistema-Paese: la fatturazione elettronica.
La fatturazione elettronica ha rappresentato, fin da subito, uno strumento efficace e conveniente di dematerializzazione della Pubblica Amministrazione. Introdotta con il decreto n.55 del 3 aprile 2013, ed entrata in vigore a partire dal 31 marzo del 2015 come obbligo verso tutte le pubbliche amministrazioni, ha portato alla PA benefici così rilevanti da spingere l’Italia (uno dei primi Paesi tra gli Stati membri dell’Unione Europea) ad estendere l’obbligo di fatturazione elettronica a tutto il settore privato nel contesto delle transazioni B2B.
In particolare, proprio grazie all’introduzione di questa misura è stato possibile:
- totalizzare un notevole risparmio, quantificato in 1 miliardo di euro all’anno, di cui 200 milioni sono costituiti dal risparmio diretto sui conti pubblici, mentre 800 milioni rappresentano quello legato all’incremento della produttività;
- semplificare notevolmente i processi, specialmente quelli di archiviazione, dal momento che non esiste più la necessità di conservare la fattura cartacea e quindi non occorre più avere dei magazzini fisici e della manodopera che li gestisca;
- aumentare la tracciabilità delle operazioni e contrastare l’evasione fiscale, rendendo più semplice l’accertamento. Non bisogna, infatti, più analizzare i faldoni in cerca di irregolarità, ma si possono ripercorrere le diverse transazioni direttamente attraverso il Sistema di Interscambio, che è il sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate, utilizzato per l’invio e la ricezione delle fatture oltre che per effettuare controlli sui documenti ricevuti.
Sotto questo aspetto, i risultati dell’applicazione di questa misura sono stati davvero incoraggianti.
Secondo quanto riportato dai dati resi pubblici dal Ministero di Economia e finanza e dall’Agenzia delle Entrate, in poco più di due mesi sono state registrate 350 milioni di fatture elettroniche, emesse da un totale di 2,7 milioni di professionisti. Questo ha permesso di registrare un imponibile di 560 miliardi di euro relativo alle transazioni B2B, mentre per quanto riguarda la fatturazione verso la Pubblica Amministrazione sono state gestite ben 28,5 milioni di fatture.
A questo si aggiungono anche i risultati della lotta all’evasione fiscale. La stessa Agenzia delle Entrate riporta che: “Proprio grazie alle analisi del rischio basate su e-fatture e dati del portale Fatture e corrispettivi, in poco più di due mesi è stato smascherato un complesso sistema di frodi messo in atto attraverso false fatturazioni tra società cartiere e sono stati scoperti e bloccati falsi crediti Iva per 688 milioni di euro”.
Tutto questo non solo ha permesso all’Italia di “fare cassa”, ma ha reso il Paese più interessante per eventuali investimenti esteri. Sono, infatti, stati registrate 27 risposte relative all’interpello di nuovi investimenti, che nei prossimi anni potrebbero portare a circa 15 miliardi di euro di entrate e 13mila nuove assunzioni.
La TARI
La dematerializzazione ha dato dei risultati notevoli anche a livello di amministrazioni locali.
Un esempio è quello della TARI, la tassa per il raccoglimento e lo smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilati, che alcuni comuni (tra cui Milano, Genova e Bologna) hanno deciso di gestire utilizzando Doxee Pvideo®, ossia la piattaforma di video personalizzati ed interattivi di Doxee con cui poter veicolare contenuti in maniera efficace ed innovativa.
Così facendo, è stato possibile eliminare le comunicazioni cartacee, rendendole più efficienti e nello stesso tempo più coinvolgenti.
Al posto di ricevere un bollettino, infatti, i cittadini hanno ricevuto un video in cui, la prima parte mostrava l’importo da pagare, la scadenza e le possibili rateazioni, mentre nella seconda parte veniva illustrato il calcolo del tributo attraverso delle scene personalizzate in base alle caratteristiche del destinatario. Infine, nell’ultima parte, il cittadino veniva invitato a lasciare i propri contatti, richiedere informazioni sulla TARI e ricalcolare l’importo dovuto, oppure pagare on-line tramite PagoPA o attraverso l’integrazione per pagare l’F24 online.
I risultati sono stati notevoli.
L’amministrazione ha ridotto notevolmente la quantità di carta utilizzata e nello stesso tempo ha reso più efficace l’incasso dei tributi, fornendo al cittadino contenuti rilevanti grazie anche all’ottimizzazione dei video, avvenuta attraverso il monitoraggio dei comportamenti digitali dei cittadini stessi.
Basti pensare che l’85% delle visualizzazioni sono arrivate fino alla fine del video e più della metà dei fruitori ha poi proceduto al pagamento. In aggiunta, sono state inoltrate 1550 richieste precompilate di modifica dell’immobile.
Tutto questo dimostra che la dematerializzazione in Italia è possibile.
Ovviamente la strada è ancora lunga e i margini per fare meglio sono amplissimi. Occorre che ci sia unione di intenti, da parte della classe politica che deve sviluppare una vera sensibilità sul tema, da parte degli operatori che devono essere disposti a mettere in dubbio il loro approccio e da parte dei professionisti del settore, che devono affiancare le amministrazioni con la consapevolezza di star gettando le basi per una rivoluzione chiave del Paese.
Solo così la dematerializzazione potrà essere realizzata correttamente e diventare un volano efficace per l’economia del Paese, ma soprattutto per una trasformazione radicale, di cui ognuno di noi in quanto cittadino potrà beneficiare.