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Come la personalizzazione sta trasformando il settore del lusso

personalizzazione nel settore lusso

La complicata situazione economica seguita al diffondersi della pandemia ha determinato nella maggioranza dei comparti nuove urgenze da affrontare, urgenze che dal piano delle produzione e della distribuzione hanno avuto una inevitabile ricaduta sulla relazione con il consumatore e hanno causato cambiamenti più o meno profondi lungo tutto il funnel. Anche le aziende del lusso si sono trovate a dover adattare rapidamente mentalità, strumenti e metodologie di lavoro. La risposta più efficace adottata dai professionisti del luxury marketing è consistita nel potenziamento di strategie online e omnicanale, attraverso la valorizzazione di tutti quegli asset che offrono maggiori prospettive di un’avanzata personalizzazione nel settore lusso.

Dal servizio “fai da te” di Gucci, attraverso il quale i clienti possono personalizzare maglieria, tote bag e sneakers con lettere in diversi colori e materiali, a Burberry Bespoke che consente di scegliere lo stile, il tessuto, il colore del trench, i marchi stanno offrendo sempre più possibilità di personalizzazione a consumatori che pretendono di esprimere attraverso ciò che acquistano la loro singolarità, in un mondo in cui i marchi rischiano la sovraesposizione sui social media e il consumo di lusso sembra più che in passato facilmente soggetto a forme di massificazione.

In questo articolo proveremo a concentrarci su tre aspetti del trend della personalizzazione che, a fronte della nuova normalità in cui ci troviamo a vivere, stanno trasformando l’industria del lusso, in particolare per quanto riguarda “l’ultimo miglio”, il tratto finale del percorso che si concretizza con l’acquisto:

  1. lo shift da una dimensione globale alla dimensione locale;
  2. l’evoluzione dell’ecosistema digitale a partire da una nuova concezione dello store;
  3. il complicarsi e arricchirsi dell’esperienza di acquisto.

 

La personalizzazione nella nuova normalità del Luxury Retail: sempre più “local”, sempre più virtuale

Ad aprile del 2019 quasi un acquirente di lusso su cinque sosteneva che la personalizzazione, in particolare su misura, fosse fondamentale. E questa volontà di individualità e autoaffermazione non è un’esigenza che può rimanere inascoltata.

“Uno stile su misura è sempre stato qualcosa di importante per me. Un modo per mantenere un legame intimo con i miei clienti e avere un feedback diretto su come percepiscono il mio lavoro”, ha dichiarato monsieur Louboutin al «Financial Times». Nello stesso articolo Thomas Chauvet, analista di Citi (multinazionale americana che raggruppa banche di investimento e società di servizi finanziari) affermava che “il ritorno a un certo grado di personalizzazione dei prodotti nel lusso è un modo astuto per i marchi di offrire servizi di personalizzazione aggiuntivi a una clientela più esigente continuando a far crescere i volumi complessivi, in particolare nelle categorie entry-level”.

Il segmento dei prodotti personalizzati presenta un margine elevato e tenderà a crescere, secondo le previsioni, più rapidamente del mercato del lusso nel suo complesso.

Preesistente alla crisi, la tendenza a progettare per il proprio target di riferimento esperienze sempre più personalizzate può essere inquadrata all’interno di quel processo di digital disruption che negli ultimi vent’anni ha rivoluzionato le abitudini di acquisto delle persone e che, nel caso del Retail ha subito un’accelerazione portentosa e imprevedibile durante le fasi della pandemia da Covid-19.

Nel caso del Luxury Retail, per meglio intercettare le esigenze di un pubblico altamente caratterizzato, la personalizzazione nel settore lusso ha assunto una serie di qualità distintive.

 

Dal globale al locale (e il ritorno sul consumatore)

Dare importanza a una dimensione locale, complementare e non alternativa a quella globale, può aiutare gli operatori del lusso ad attuare programmi di sempre maggiore personalizzazione, contribuendo così a rivitalizzare il Retail. Per due motivi.

  1.  Ogni consumatore è un segmento a sé. Con il suo complicato sistema di appartenenze – culturali, sociali, generazionali, geografiche – il singolo consumatore diventa il punto di fuga su cui si focalizza lo sguardo del brand.
  2. Da viaggiatore globale ad acquirente locale. Creare esperienze locali su misura è oggi indispensabile per cercare di mantenere rapporti solidi e duraturi con i clienti asiatici, in particolare modo cinesi e in generale rappresenta un modo per dispiegare libertà creativa e capacità di sperimentazione attraverso processi di riappropriazione della dimensione locale.

Risale a due anni addietro, al novembre del 2018, la XVII edizione dello studio annuale pubblicato da Management Consulting Group Bain sui beni di lusso. In quel report, tra i molti risultati riportati, forse il dato più rilevante era che la maggior parte dei consumatori di lusso cinesi – il 58% – proveniva da città di livello II e inferiori. I consumatori di lusso delle 4 principali città, Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen, rappresentavano solo il 20% dei consumatori totali. Questi dati rendono evidenti che il consumatore di lusso moderno non può essere mappato su una certa parte del mondo, una certa parte della società o anche una certa età: ogni cliente è un segmento a sé. Soprattutto in un momento storico delicato come quello che stiamo attraversando, in cui il flusso di turisti, soprattutto cinesi, si è quasi interrotto, i marchi devono lavorare per riconquistare i mercati locali e l’annullamento della distanza che separa il cliente dall’attualizzazione della sua decisione di acquisto passa proprio dalla sua attenta, accurata e rispettosa contestualizzazione.

Il settore del lusso da sempre si rivolge a un consumatore globale: dal 20 al 30 % dei ricavi del settore sono generati dai consumatori che fanno acquisti di lusso al di fuori dei loro paesi d’origine. Nel 2018 i consumatori cinesi avevano effettuato oltre 150 milioni di viaggi all’estero per una spesa al di fuori dei confini nazionali che si stima rappresentasse la metà di quella complessiva per il lusso in quell’anno. Gli acquirenti asiatici compravano beni di lusso al di fuori dei loro paesi d’origine non solo per beneficiare dei prezzi, più bassi in Europa, ma anche perché lo shopping era diventato parte integrante dell’esperienza di viaggio: l’acquisto di beni nel loro luogo di produzione può infatti essere percepita come più autentica. Con le recenti restrizioni ai viaggi, un importante motore della spesa per il lusso si è arrestato e probabilmente, anche dopo che le restrizioni saranno revocate, l’aumento dei viaggi internazionali sarà graduale. Detto questo, i consumatori cinesi rimangono la più grande opportunità di crescita per il settore del lusso.

Per riattivare e dare impulso al consumo di lusso degli acquirenti asiatici nei loro paesi d’origine, i marchi dovranno concentrarsi sempre più (mckinsey.com):

 

Lo store al centro dell’ecosistema digitale del lusso

Una personalizzazione nel settore lusso efficace incrocia la sempre maggiore centralità del marketing digitale con le esigenze di interpretare correttamente profilazioni sempre più precise. Per poter aumentare i risultati in termini di personalizzazione nel settore lusso deve esistere non solo la volontà dell’azienda di investire sui canali on line ma anche la consapevolezza degli alti standard a cui i consumatori del lusso sono abituati nei negozi. L’enfasi sta quindi tutta sulla creazione di un’esperienza digitale personalizzata che sappia eguagliare quei livelli di qualità.

La funzione degli store si amplia, il negozio tradizionale incorpora le nuove tecnologie che a loro volta ne ridisegnano perimetro e articolazione interna. Non più “semplice negozio fisico”, ma centro di esperienza, logistico e di servizi, con un ambiente omnicanale completamente integrato e senza soluzione di continuità.

Burberry ha dimostrato di aver fatto sua questa lezione e a luglio di quest’anno, a Shenzhen, in Cina, ha dato vita al primo “First Social Retail” che combina realtà fisica e realtà virtuale in un’esperienza di vendita al dettaglio digitalmente immersiva. I prodotti sono etichettati con codici QR che sbloccano contenuti e vanno ad aumentare la quantità di “valuta social” dei clienti: più il cliente interagisce, maggiori sono le opportunità di guadagnare “premi”. Il negozio è progettato per acquisire le interazioni dei consumatori sui canali social e dare loro una dimensione concreta attraverso i tradizionali canali per la vendita dettaglio.

Da anni Le Bon Marché, il grande magazzino di proprietà di LVMH a Parigi, ha abilitato e differenziato diversi spazi in cui offre servizi altamente personalizzati (fr.fashionnetwork.com). Un’area cruciale e in crescita, quella della personalizzazione, secondo le parole di Patrice Wagner, presidente e amministratore delegato («Financial Times», articolo citato). Negli ambienti allestiti di Le Bon Marché i clienti possono infatti intervenire sui prodotti di più di 80 marchi internazionali, ravvivando vestiti o scarpe con pietre, borchie e paillettes, o disegnando T-shirt su uno schermo: “il consumatore diventa designer”.

Cambia anche, inevitabilmente, il ruolo del team di vendita, che può connettersi con i clienti sia all’interno del negozio sia dall’esterno attraverso le diverse piattaforme digitali a disposizione. Il personale in store deve concentrarsi più che mai sulla promozione e gestione delle relazioni sia per garantire una connessione emotiva più centrata e di valore sia per poter contare su un database sistematico di facile e immediata consultazione. I clienti si aspettano touchpoint riconoscibili, accessibili, efficienti, che siano disponibili in qualsiasi momento. Sfruttando un CRM in cui i contatti siano organizzati in modo chiaro e completo sarà possibile snellire i processi, migliorare le relazioni con i clienti e aumentare la redditività.

 

Come si evolve la personalizzazione nel settore lusso: dal prodotto all’esperienza

Nel 2019 Hermes è stato il marchio in più rapida crescita tra i millennial (medium.com). La mitica borsa Birkin, il cui prezzo base è 12.000 $, è quasi impossibile da acquistare per effetto della “scarsità artificiale” creata dal brand. In rete circolano decine di storie avventurose sul modo fortuito e spericolato in cui questi e queste giovani cacciatori e cacciatrici di Birkin sono riusciti alla fine nell’impresa. Possiamo a questo punto chiederci se quello che muove a infervorate ricerche non sia tanto una borsa, pur di pregevolissima fattura, quanto piuttosto l’immaginario che da quell’oggetto si irradia, il desiderio di vivere in prima persona i valori che la Birkin incorpora.

Il fenomeno “How I Got My Birkin” non è semplicemente un tipo di narrazione funzionale alla vendita ma è esemplificativo di un cambio di paradigma nel Retail, che non ruota più attorno al prodotto e a un consumo ottusamente esclusivo e in qualche misura autoreferenziale ma diventa esperienziale, inclusivo e trasversale alle generazioni. La trasformazione ha molte concause ma tra queste la pervasività della comunicazione digitale (e social in particolare) ha rivestito sicuramente un ruolo fondamentale. Per costruire un’esperienza online distintiva e coinvolgente una comunicazione omnicanale, on line e off line, dovrà infatti essere completa, fluida e senza interruzioni.

Facciamo adesso un ulteriore passo avanti: se i luxury brand vogliono corteggiare consumatori ogni giorno più critici e consapevoli non possono far altro che personalizzare l’esperienza, dando continuità a un tipo di rapporto tradizionalmente improntato alla cura, all’attenzione, all’ascolto. Questo modello di interazione è tipico di ciò che avviene abitualmente negli store fisici. Le nuove tecnologie e l’impiego delle enormi quantità di dati oggi a disposizione possono contribuire a replicare questo stesso modello di comportamento all’interno dell’ecosistema digitale costruito dal brand.

 

Nuove tecnologie e dati alla base della Digital Luxury Experience

Se i marchi di lusso vogliono differenziarsi devono mettere a sistema le informazioni che provengono dai loro clienti: combinare dati quantitativi e qualitativi, ottenuti interrogando i touchpoint transazionali, raccolti sulle piattaforme social o che provengono dal customer care.

Anche François-Henri Pinault, presidente e amministratore delegato di Kering, ha recentemente dichiarato che per riuscire a personalizzare il dialogo con i clienti e ottimizzare le azioni di marketing il gruppo sta espandendo l’uso dell’Intelligenza Artificiale («Financial Times», articolo citato). Attualmente piattaforme di e-commerce di lusso come Yoox Net-a-Porter, Moda Operandi e Matchesfashion.com utilizzano strumenti di analisi dei dati per “formare” personal stylist virtuali abilitati dall’intelligenza artificiale che siano in grado di fornire consigli ai clienti a partire dalle preferenze dichiarate, dalla cronologia di navigazione e degli acquisti, dagli acquisti effettuati da persone con un profilo simile.

In un prossimo futuro il cliente potrebbe partecipare in misura sempre maggiore anche al processo di produzione e progettazione: linee di prodotti realizzate sulla base delle preferenze di specifiche categorie di clienti; elementi ricorrenti delle relazioni con i consumatori incorporate nei siti web istituzionali per diventare features integrate a disposizione del brand; chatbot online utili e “allenati” in sostituzione agli assistenti di vendita per rispondere alle richieste di informazioni meno complesse.

 

Personalizzare i contenuti per personalizzare l’esperienza del lusso

La gestione del processo di personalizzazione nel settore lusso può rappresentare una sfida. Le “raccomandazioni” elaborate dai più avanzati strumenti tecnologici possono talvolta costituire un’arma a doppio taglio se non sono filtrate e ri-significate dalle persone. Potrebbero essere percepite come limitanti rispetto alla possibilità di scelta del singolo consumatore o eccessivamente rassicuranti o addirittura offensive.

Oltre alla migrazione sulle piattaforme digitali, l’impiego di tool sofisticati per la data analysis e l’uso di tecniche di machine learning per imitare il comportamento umano o costruire spettacolari ambientazioni, i marchi del lusso hanno altre frecce al loro arco, frecce importanti, che hanno a che vedere con l’elemento umano più che con le macchine.

Il lusso esperienziale sta espandendo i confini del discorso sul, del e attorno al marchio: un tipo di riflessione che si sta facendo strada è allora quella che vorrebbe sovrapporre personalizzazione e stile di vita, includendo non più e non solo aspetti cosmetici e puramente esteriori ma esperienze estetiche di più ampio respiro, come per esempio quella artistica oppure investimento emotivo su tematiche sociali. L’immagine del marchio può essere infatti notevolmente influenzata dalla sua posizione sull’uguaglianza di genere, sull’approvvigionamento responsabile e su altre questioni sensibili. Molti luxury brand stanno per questo motivo ponendo ancora più enfasi sull’importanza della responsabilità sociale d’impresa.

Per riuscire a veicolari messaggi complessi che sono recepiti e agiti in modo assolutamente personale è necessario impostare da subito una attenta content marketing strategy che riesca a tenere conto, esaltare, incanalare queste tendenze individualizzanti. La sfida, detto altrimenti, consisterà nel tentativo di instaurare un rapporto di lealtà con i consumatori: personalizzare i contenuti per personalizzare prodotti ed esperienze.

 

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