Parlare di data storytelling e fornire una chiara definizione a riguardo implica prima di tutto fare un ritorno al passato e conoscere la sua storia. Da dove proviene e come ha fatto oggi a mettere radici tanto profonde all’interno delle strategie di business nelle aziende?
La narrazione è un’arte antica, quanto l’uomo stesso. Gli ha permesso di intraprendere relazioni, trasmettere il proprio sapere e rendere partecipi i suoi simili delle proprie emozioni; possiamo affermare che la narrazione sia il bagaglio del nostro sviluppo culturale.
Una buona storia produce empatia, permette di ottenere l’immedesimazione del nostro interlocutore. Da qui, nasce il concetto di storytelling: una tecnica di comunicazione che consiste nel raccontare una storia per attirare l’attenzione di uno specifico pubblico, veicolare verso un target stabilito il messaggio che la storia vuole trasferire e stimolare un determinato comportamento negli spettatori, persuadendoli a compiere una precisa azione. Successivamente, Il web 2.0 segna una svolta radicale nel mondo della narrazione. Il “narratore” ha la possibilità di disporre di nuove risorse per la creazione di storytelling permettendo al racconto di assumere nuove dimensioni, più “digitalizzate” mediante l’uso di informazioni che provengono dai dati: da qui l’evoluzione in data storytelling.
Perché le aziende vogliono “raccontare” attraverso/con i dati? Facciamo chiarezza. Ebbene, anche loro hanno una storia da raccontare, ma per farlo bisogna cominciare da un’auto-analisi, per capire i propri punti di forza e di debolezza. Fatto questo, bisogna confrontarsi con un mercato in continua evoluzione, fatto di consumatori che se soddisfatti possono trasformarsi in portavoce del brand.
Dal Carosello al web: l’evoluzione della narrazione
La narrazione ci permette di comprendere i fatti e capire come siano accaduti, di intrepretare la realtà di cui siamo i protagonisti, di generare empatia, di innescare nella persona che ci sta ascoltando ricordi, memorie e quindi di suggestionarlo, emozionarlo.
Uno strumento di tale impatto non poteva non essere utilizzato nel mondo della comunicazione. Basti pensare a Carosello, in cui si susseguivano in bianco e nero vere e proprie storie di media lunghezza. Col tempo le storie di Carosello sono mutate in clip di trenta secondi, nelle quali non troviamo più racconti, ma slogan in grado di far memorizzare brand e prodotti.
Tuttavia, oggi in una realtà così frenetica e mutevole, si innescano esigenze sempre più elaborate, pertanto ne consegue il bisogno di accantonare i sintetici slogan per ritrovare il calore di un racconto, di una storia, di un’emozione. Ritorna l’importanza data alla forma narrativa del racconto pubblicitario che attraverso gli spot ha permesso di sviluppare delle vere e proprie sit-com a puntate. Le storie arrivano perché sono memorabili, perché raccontano di noi, sviluppano connessioni emotive e relazionali, convincono laddove i fatti da soli non bastano a convincere il pubblico e di questo “potere” narrativo adesso si è munito anche il web.
“Sfila via i fatti dalla realtà: quel che resta è storytelling”; così spiega Alessandro Baricco per abbattere un pregiudizio errato sullo storytelling e cioè che “realtà” e “storytelling” siano due cose separate:
“Lo storytelling non è una sovrapposizione in un secondo momento. È una parte della realtà. Ve lo dico nella maniera più brutale: un fatto, senza storytelling, non esiste. Non è reale” continua Baricco, che fa poi l’esempio della moneta: “Una moneta, strumento geniale, è composta da un fatto – cioè che è un dischetto di metallo di un certo peso, di un certo valore – dopodiché chi la conia stampa sulle due facce qualcosa. Quello che era un dischetto di metallo – un fatto – diventa una realtà vera. Quello che ci stampa sopra è storytelling. Moneta: la realtà formata da un fatto – la quantità di materiale – e da un gesto – lo storytelling – che ne fa una moneta” (pierluigisiclari.it).
Baricco affronta poi la questione del rapporto tra fatti e storytelling nella rappresentazione della realtà, sostenendo che alla base di una comunicazione di successo risiede la scelta di un giusto equilibrio tra fatti e storytelling.
Nel momento in cui lo storytelling approda nel web 2.0, rivoluziona la comunicazione con il consumatore e fornisce all’azienda una nuova serie di metodi per portare avanti la propria storia. Il cliente diventa partecipe della storia del brand e può intervenire in prima persona grazie ai social network. Creare narrazioni capaci di catturare il pubblico grazie ad effetti speciali, musiche evocative e immagini emozionanti, permette al brand di farsi riconoscere, accrescendo la brand loyalty del consumatore. Lo storytelling porta l’audience a ricordare meglio il messaggio, a contestualizzare i benefici del marchio, condividere il contenuto con altri e a dedicare tempo per chiedere approfondimenti.
Il brand deve rivolgersi appropriatamente a ciascun pubblico. La storia deve essere ricca di personalità, il messaggio che deve arrivare è che la storia non avrebbe potuto tralasciare il prodotto, altrimenti non sarebbe stata una così bella storia. Particolare attenzione deve essere riposta nel linguaggio, che deve prediligere temi semplici, diretti, così da entrare in sintonia col suo pubblico.
I dati: gli strumenti chiave di una storia
Degno successore dello storytelling, il data storytelling getta le basi per un incredibile processo di “democratizzazione” del dato, come atto di trasparenza da parte delle aziende nei confronti degli interlocutori, che siano i propri dipendenti o il proprio pubblico di riferimento. Se inizialmente si pensava all’analisi dei dati, ma soprattutto alla comprensione di questi, come un qualcosa per pochi esperti, il data storytelling fornisce un nuovo modo di vedere e utilizzare i dati, partendo da una democratizzazione reale di questi e mettendoli al servizio dell’utente attraverso un utilizzo più creativo.
Claudio Cerulli – Head Of Customer Experience in Doxee – durante il primo appuntamento del Doxee Digital Club, ha definito il data storytelling la tecnica che permette di strutturare la storia laddove il dato acquisito è funzionale alla storia stessa e personalizzabile per ciascun cliente. La volontà di personalizzare l’esperienza del cliente, cioè renderla diversa da persona a persona in base alle aspettative/desideri individuali influenza il Customer Journey. Inoltre, è uno dei principi cardine del moderno marketing one-to-one, il quale presuppone un approccio al mercato basato sulla relazione personale e diretta tra brand e consumatore.
Teniamo presente i principali concetti chiave attorno cui ruota il data storytelling, quelli che lo rendono tale ma, soprattutto che permettono all’azienda di farne un vantaggio e che fanno sì che il data storytelling si stia guadagnando un posto d’onore tra gli strumenti fondamentali per garantire il successo di un’impresa.
1. Individuare la tua audience
Prima regola del data storytelling è identificare il proprio pubblico dal momento che il tipo di messaggio che vogliamo destinare dipende dalle caratteristiche del nostro target. Il dato che viene raccolto parla pur sempre di una persona, pertanto bisogna “umanizzarlo”. Focalizzare l’audience aiuta a capire su quali argomenti concentrarsi e come spiegarli a chi ci ascolta. “A chi vogliamo rivolgerci? Cosa gli interessa sapere? Quale tra queste informazioni risulta utile? Cosa cerchiamo di ottenere?” sono le domande da porsi.
2. Big Data
Alla base del data storytelling ci sono i dati, precisamente migliaia di dati da analizzare e selezionare. Naturalmente, è fondamentale che prima ancora di essere analizzati, i dati siano raccolti correttamente: ecco perché è essenziale affidarsi a consulenti altamente specializzati che possano garantire il valore dei Big Data a disposizione. Inserire i dati nello storytelling, significa ampliare il set di abilità sfruttando l’era dei Big Data.
Mentre le interpretazioni variano, la maggior parte degli esperti descrive lo storytelling dei dati come la capacità di trasmettere dati non solo in numeri o grafici, ma come una narrazione che le persone possono comprendere. Proprio come in ogni buona storia, un racconto di dati deve avere un inizio, una metà e una fine. Deve essere presentato senza pregiudizi e con la giusta empatia e contesto in modo che sia gli emittenti sia i destinatari possano assorbire e sfruttare le interazioni scaturite per un processo decisionale più intelligente.
3. Studiare i dati per instaurare relazioni
Dopo aver raccolto i dati, occorre elaborarli, selezionare i dati alla ricerca di pattern che siano significativi per chi sono destinati. I dati descrivono una caratteristica del cliente, un’azione che ha compiuto, pertanto una buona valutazione permette di estrapolare da essi una relazione tra il brand e il cliente stesso; bisogna prestare la massima attenzione.
4. Associare una Data Visualization
Il data storytelling ha una sua esistenza autonoma, differente dalla Data Analysis. Se ci fermassimo alla sola raccolta e analisi dei dati non si parlerebbe allora di storytelling. I dati significativi, infatti, devono essere raccontati per diventare insight, cioè informazioni che possano avere un valore. Per farlo, il modo più efficace è avvalersi della Data Visualization, la rappresentazione grafica dei dati. Creare un design del dato non è una questione di estetica, ma di efficacia!
Data storytelling e Data Visualization sono due elementi complementari, poiché il design non è un aspetto superfluo, ma contribuisce a migliorare la conoscenza del brand, a renderlo memorabile e interattivo. Infatti, quando la narrazione è accompagnata da una rappresentazione grafica, interessa e diverte il lettore/spettatore.
Comunicare i dati attraverso la suggestività del video
Al termine del lavoro di raccolta, analisi, visualizzazione e comunicazione dei dati, è necessario che essi generino informazioni spendibili per l’azienda. La raccolta di tutte queste informazioni permette di costruire una comunicazione più efficace, dall’altra parte ha come obiettivo ottenere ulteriori conoscenze sull’utente. Come fare a spingere l’interlocutore a fornirci ulteriori informazioni? Non c’è strumento di condivisione più potente di un video, ma per giungere all’obiettivo è necessario che racchiuda una serie di elementi cruciali.
Nelle strategie di marketing B2B così come nel B2C, è ormai radicata la consapevolezza che alla luce della portata della trasformazione digitale e delle migliaia di canali di informazione disponibili, l’elemento chiave sia la personalizzazione.
Quanto la storia deve essere personalizzata? Non eccessivamente, per non rischiare un senso di invadenza nei confronti del destinatario, quanto puntare invece su una narrazione transmediale che preveda tre concetti base:
- fruibilità e unicità: ogni utente deve riconoscere se stesso durante la narrazione, sapere che si sta parlando solo di lui – non si tratta di creare un messaggio standard “per tutti” ma “per te”. Inoltre, la storia deve essere comprensibile, il destinatario deve poter comodamente passare da un canale all’altro in semplici passaggi, guidando in modo autonomo il processo di narrazione;
- il giusto livello di interesse da generare il coinvolgimento: come abbiamo detto, non basta raccogliere dati; per spingere gli utenti a interagire con il brand si devono estrapolare e selezionare le informazioni che gli interessa conoscere;
- invito all’azione: per generare lead, aumentare il coinvolgimento e fidelizzare gli utenti al tuo brand, la comunicazione transmediale deve essere percepita come una struttura semplice e fluida. La personalizzazione genera coinvolgimento; l’interattività genera conversione. Da qui, sapremo se l’obiettivo desiderato è stato completato, se gli utenti risponderanno positivamente ad una call-to-action; determinata in base al target di riferimento.
Come abbiamo visto, i dati rappresentano la chiave di successo di ogni narrazione. Una narrazione ha valore se memorabile, d’impatto e personalizzata. Raccontando una storia avvincente, con i dati a supporto, sarai in grado di raggiungere il tuo pubblico sia a livello emotivo che intellettuale. Utilizzare a proprio vantaggio il potere della narrazione significa aprirsi a nuove possibilità, instaurare preziose relazioni, creare team di lavoro più allineati con le innovazioni future. I data storytellers svolgeranno un ruolo fondamentale, così come le organizzazioni che sapranno cogliere e sfruttare queste possibilità.
Non bisogna trascurare un elemento importante nel discorso appena affrontato, e cioè che una storia può anche essere raccontata e veicolata nel modo più tradizionale: attraverso la scrittura. Parliamo dell’arte del copywriting, un mestiere che nel tempo ha subito tantissime trasformazioni, specialmente nell’era digitale. Iscriviti al prossimo appuntamento del Doxee Digital Club, durante il quale Elisabetta Severoni – copywriter e content manager – parlerà proprio di questo.