Fashion marketing dopo il Covid-19? Il settore della moda è sicuramente tra quelli maggiormente colpiti dal Covid-19. La situazione nel nostro paese è ancora più complessa se si pensa che più del 40 % della produzione mondiale di beni di lusso avviene proprio in Italia e che tutte le fabbriche, comprese le piccole imprese a base familiare, sono state a lungo chiuse.
I brand hanno già cominciato ad mobilitarsi per riuscire a superare le conseguenze del lockdown prolungato di questi mesi, attivandosi su diversi fronti, organizzativi, produttivi e relativi alla comunicazione. Anche le modalità con cui opera il marketing del settore fashion sono soggette a un continuo aggiornamento, con l’obiettivo di implementare soluzioni nuove o rinnovate di distribuzione digitale e omnicanale e metodologie e strumenti avanzati per l’analisi dei dati.
La situazione economica per l’industria della moda
La pandemia sta rimodellando l’industria della moda. Il danno economico è infatti enorme: le entrate per il mercato del fashion previste per il 2020 potrebbero calare di oltre un terzo, con una perdita che BCG stima attorno ai 640 miliardi di dollari.
Secondo il Sole24Ore, in Italia le vendite mancate potranno incidere fino al 30% sul fatturato dell’anno, e gli effetti condizioneranno l’andamento del settore nel 2020 e nel 2021. Gli stabilimenti manifatturieri hanno tendenzialmente visto ridurre la produzione, alcuni si sono dovuti fermare, altri si sono invece riconvertiti iniziando a confezionare mascherine e camici. La parte centrale e a valle della filiera, dalla distribuzione ai negozi, è stata di fatto messa in stand by. Le vendite di abbigliamento e accessori sono crollate, e con il drastico calo delle vendite nell’immediato futuro il commercio al dettaglio si troverà a dover smaltire un consistente stock di invenduto.
Nella migliore delle ipotesi, la memoria del lockdown e lo spettro della conseguente recessione economica costringeranno i player del settore della moda a diventare resilienti, a investire su piani emergenziali e modelli operativi in grado di rispondere con efficacia a eventi inaspettati. Per far fronte a nuove restrizioni, attenuare l’impatto negativo della pandemia e adattarsi alle nuove urgenze del consumo, le aziende dovranno introdurre strumenti e strategie innovativi lungo tutta la catena del valore, per realizzare cambiamenti radicali e duraturi nelle loro organizzazioni — e nel mercato.
Il sentiment dei consumatori nel post lockdown
Se è vero che lo shopping online è aumentato, è altrettanto vero che la chiusura forzata dei negozi fisici e una riorganizzazione profonda delle priorità dei consumatori hanno comportato un generale ridimensionamento della spesa per beni ritenuti non di prima necessità, come abbigliamento, calzature ed accessori. Sono avvenute trasformazioni probabilmente permanenti nei comportamenti e nella mentalità delle persone che porteranno al radicalizzarsi di una serie di tendenze: l’accelerazione nell’adozione dell’e-commerce, l’ancora più convinta biforcazione delle spese, che si distribuiranno tra acquisti on line e off line, e l’aumento della domanda per brand percepiti come consapevoli e sostenibili.
I comportamenti e il sentiment dei consumatori negli Stati Uniti esemplificano ciò che sta accadendo. Secondo Boston Consulting Group l’81% dei consumatori statunitensi ritiene che la pandemia porterà a una recessione, e più della metà si preoccupa delle proprie finanze personali e, di conseguenza, prevede di spendere meno per l’acquisto di abbigliamento.
Assirm, che riunisce le maggiori aziende italiane specializzate in ricerche di mercato ha condotto un’indagine specifica sul settore moda, individuando alcuni comportamenti particolarmente significativi del momento che stiamo attraversando:
- il 45% dei consumatori italiani acquista abbigliamento, accessori e scarpe prevalentemente per necessità mentre appena il 17% compra per svago e distrazione;
- saldi e promozioni rappresentano un driver di acquisto per il 38% del campione;
- il 20% degli intervistati si dice pienamente soddisfatto del mondo e-commerce a fronte di un 34% che lamenta dei problemi nei tempi di consegna (non garantiti o allungati notevolmente).
La preoccupazione per la salute è condivisa da 1 intervistato su 3: i consumatori si aspettano dai brand attenzioni specifiche, come pulizia e sanificazione dell’ambiente, l’installazione di dispenser igienizzanti all’ingresso del negozio, la regolamentazione degli accessi e il controllo del comportamento della clientela nell’osservanza delle norme igieniche.
I quattro temi su cui il marketing della moda deve prendere posizione
Un’esigenza di sicurezza condizionerà quindi pesantemente, non è chiaro ancora fino a quando, una situazione economica oggettivamente difficile. Gli aspetti emotivi, legati alle incertezze e ai dubbi sulla riapertura contribuiranno e determinare i comportamenti di acquisto delle persone, con una ricaduta sul tessuto produttivo delle comunità.
Secondo uno studio presentato lo scorso tre giugno da McKinsey & Company, in partnership con Pitti Immagine e Camera Nazionale della Moda Italiana, l’80% dei consumatori, soprattutto millennials e generazione Z, tornerà nei negozi fisici, ma lo farà con estrema attenzione. Per riuscire ad intercettare desideri che sono stati messi in discussione e ricalibrati alla luce di circostanze straordinarie i marketer dovranno prestare particolare attenzione ad alcuni temi, che McKinsey e Accenture hanno individuato come tendenze destinate a impattare nel medio periodo sui consumi.
L’accento, come vedremo, è posto decisamente sulla dimensione umana e relazionale del sistema fashion, quella stessa dimensione che costituirà la cornice per qualsiasi pianificazione delle azioni di marketing.
1. La frugalità
Per raggiungere consumatori sempre più frugali e disillusi, sempre più attenti alla composizione delle loro spese, i brand dovranno ripensare la mission aziendale in modo da risignificare la propria narrazione, per farle acquistare un valore che sia in grado di arginare la rincorsa al prezzo basso e alla promo.
2. La perdita della fiducia
La pandemia ha eroso la fiducia in un sistema economico che ha dimostrato di essere fragile, poco flessibile, reattivo. Per questo i brand “vincenti” sono quelli che hanno ripensato la loro comunicazione rendendola credibile, autentica, empatica, vicina alla realtà delle circostanze straordinarie che abbiamo vissuto. Finito il tempo austero dell’emergenza i brand avranno bisogno di un “moltiplicatore di fiducia”: contenuti ben calibrati di ottimismo ragionato in grado di convincere le persone a intraprendere i loro personali, specifici percorsi di acquisito. Per ricostruire la fiducia significherà progettare e realizzare una serie di azioni mirate e continuative capaci di rifondare e rafforzare un rapporto di lealtà con i consumatori, attraverso ogni canale.
3. La preoccupazione per la salute
Le preoccupazioni per la salute non si esauriranno. Ogni azienda avrà bisogno di capire come può essere parte di una nuova “economia della salute”, non potrà fare a meno di interrogarsi sulla sicurezza di prodotti e servizi. Il discorso vale, a maggior ragione, per i brand del fashion per tutte le innumerevoli implicazioni igieniche e sanitarie che ne contraddistinguono la produzione.
4. La casa
I brand dovranno sforzarsi di comprendere in profondità il desiderio di “chiudersi nel proprio bozzolo”, di trascorrere più tempo a casa, che il post lockdown sembra aver lasciato dietro di sé. Dovranno essere capaci di creare le condizioni tecniche e narrative per tradurre nel loro immaginario quella dimensione di intimità domestica che la pandemia ci ha forzato a vivere con una intensità raramente sperimentata in precedenza.
Il fashion marketing dopo il Covid-19: il ruolo del digitale
Qual è il ruolo del digitale nel fashion marketing dopo il Covid-19? Il canale digitale non ha rappresentato semplicemente una reazione forzata all’inevitabilità della situazione ma ha accelerato una trasformazione delle abitudini di consumo che era già in atto. È diventato in questo ultimo periodo sempre più importante perché è andato a colmare quegli spazi che l’impossibilità di frequentare uno store fisico ha scoperto e lasciato sguarniti: ha contribuito sia a far convergere nuovi clienti sui touchpoint online, sia a mantenere un contatto con i clienti già acquisiti.
Il ricorso obbligato durante il momento peggiore della pandemia a strumenti virtuali per gestire i differenti aspetti della vita, dal lavoro, ai consumi, alle attività sociali viene ormai percepito come prolungamento, in alcuni casi come sostituzione, delle interazioni fisiche. Per questo il settore del fashion ha bisogno di contare su di un marketing capace di testare ed esplorare tutte le possibilità creative abilitate dalle risorse digitali, sia nel caso in cui la mission del brand consista nel dare espressione al sistema di valori estetici ereditati dalla tradizione sia che questi stessi valori siano invece risultato di una momentanea adesione al contemporaneo.
Secondo Chris Morton, Co-fondatore e CEO di Lyst, “La fedeltà dei consumatori verso i marchi di prestigio rimane forte, anche in questi tempi di incertezza. Ma il modo in cui le persone interagiscono con i brand e fanno acquisti sta cambiando velocemente. La crisi del COVID-19 sta velocizzando i cambiamenti che già erano in atto nella nostra industria e ne promuove di nuovi. In questo periodo senza precedenti, il digitale assume un’importanza fondamentale per le case di moda. L’informazione e la comunicazione sono elementi chiave per la nostra community. Coloro che si adatteranno più rapidamente ai nuovi scenari, prendendo decisioni basate su dati e facendo affidamento sulle loro stesse forze, avranno migliori probabilità di crescita”.
Sull’importanza strategica dei dati e del modo in cui i player del mercato della moda possono immagazzinarli, qualificarli e gestirli per attività di profilazione, analisi predittive e tecniche di attribuzione del budget rimandiamo all’articolo I fattori di successo del digital marketing per il fashion.
Il fashion marketing dopo il Covid-19: liberare le risorse creative digitali
Tra le iniziative che sono state avviate nel periodo di lockdown e che sembrano aver attecchito anche nella nuova normalità ne segnaliamo alcune che riassumono e incorporano le tendenze descritte nei precedenti paragrafi: la voglia di frugalità, l’erosione della fiducia, la preoccupazione per la salute, la predilezione per una dimensione domestica. Si tratta di soluzioni nuove e alternative o semplicemente reinventate, su cui i brand del Fashion hanno puntato, sfruttando l’enorme potenzialità del digital. Di seguito, 5 iniziative digitali da implementare nel fashion marketing dopo il Covid-19.
1. Il fashion renting
Il fashion renting, vale a dire il noleggio di abiti che dopo ogni prestito vengono sottoposti a sanificazione, consente al consumatore di continuare a scegliere capi nuovi e originali, senza però doversi recare in negozi fisici, pagando prezzi abbordabili, all’insegna dell’ecosostenibilità e della sicurezza.
2. Il personal shopper digitale
Il personal shopper digitale offre consigli in streaming e mostra al cliente i look indossati e i relativi prezzi, dando anche suggerimenti sulle occasioni d’uso. Un’alternativa ancora più avveniristica prevede la sostituzione del personal shopper in carne ed ossa con un’app che usa alcune tecniche dell’intelligenza artificiale.
3. Le sfilate online
Sono la naturale (anzi, per meglio dire artificiale) prosecuzione delle sfilate in presenza. La proiezione sullo schermo dei nostri device delle catwalk consente anche di attivare una serie di funzionalità di realtà aumentata: layer informativi e molteplici punti di vista possono restituire un’esperienza totale e dinamica.
4. Il virtual showroom
Lo showroom per la presentazione delle collezioni diventa interamente virtuale. Il virtual showroom permette a buyer e partner, ovunque si trovino, di consultare e visualizzare schede tecniche, foto e immagini interattive dei prodotti, colti da diverse angolazioni, in un ambiente cloud riservato e protetto di facile fruizione.
5. Il video marketing
La quarantena ha decretato la vittoria del formato video (sia su IGTV sia su YouTube), che gli utenti hanno preferito rispetto a immagini bidimensionali e non immersive. I video sono stati usati per assolvere a due funzioni comunicative, una più transazionale, l’altra più ideale. In entrambi i casi l’intenzione era di quella di creare una connessione che fosse realmente empatica, che potesse superare la distanza fisica attraverso il riferimento all’esperienza comune della reclusione forzata.
- Video più transazionali, usati dagli influencer con obiettivi pratici di conversione e accompagnati da call to action didascaliche. Il tono spesso ironico e le ambientazioni casalinghe stemperano la natura palesemente commerciale del format. Distribuiti soprattutto su Instagram consentono l’interattività necessaria per far procedere il consumatore lungo il funnel, senza forzature.
- Video più ideali, usati dalla comunicazione istituzionale dei brand per costruire manifesti motivazionali, raccontare storie uplifting, costruire un senso di vicinanza destinato altrimenti ad affievolirsi. Il media scelto è Youtube, che si presta maggiormente a comunicazioni più ufficiali e che meglio ospita contenuti di una qualità che potremmo dire televisiva o cinematografica. Impiegati soprattutto nella costruzione di awareness per rispondere all’attualità e aderire nel modo più plastico e rapido possibile al redesign reputazionale del marchio.
La pandemia ha dato ai video prodotti da e per i brand del fashion la capacità di trasmettere messaggi che ci hanno riguardato in qualche modo, che sono stati universali e personali a un tempo. La sfida adesso è di fare tesoro di quel tipo di racconto e di usarlo ancora per parlare di realtà attuali riuscendo a farle percepire come condivise, in qualche misura davvero nostre.
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