Articolo aggiornato al 29/04/2022
Comunicazione nelle SGR: una panoramica sull’Italia
Il risparmio gestito è sempre stato un mercato chiave per l’intero sistema finanziario, ma si parla sempre troppo poco di comunicazione nelle SGR. Le banche per fare fronte al forte stress che è conseguito alla crisi di qualche tempo fa, hanno fortemente investito in questo settore e ciò ha fatto sì che negli ultimi anni proprio il risparmio gestito sia cresciuto notevolmente.
Limitandosi a ciò che riguarda l’Italia, dal 2004 l’industria del risparmio gestito ha raccolto la cifra incredibile di 1.200 miliardi di euro di asset di gestione, con un incremento del 137% segnato a novembre 2017. In sostanza, una cavalcata inarrestabile lunga circa 14 anni. Questa fase espansionistica, tuttavia, sembra essersi arrestata nel 2018 che, in qualche modo, ha compromesso anche il 2019. Secondo il Wall Street Italia, nei primi 6 mesi del 2018 sono stati raccolti 9,3 miliardi di euro, con i mesi di maggio e giugno che hanno segnato risultati in negativo.
Se è vero che l’inizio di quest’anno sembrava essere più promettente con una raccolta netta di circa 55 miliardi, non bisogna farsi ingannare dai dati: questo risultato positivo sulla bilancia è dovuto, in realtà, all’ingresso nel perimetro di mercato di 53 miliardi di euro, come effetto di un’operazione straordinaria realizzata all’interno del gruppo Poste Italiane, che è consistita nel conferimento alla SGR di gruppo di un mandato istituzionale per la gestione del patrimonio di BancoPosta.
Sono in linea al trend anche i dati di marzo 2019 diffusi sempre da Wall Street Italia, secondo cui: “la raccolta netta dell’industria del risparmio gestito che chiude a -0,6 miliardi con le gestioni di portafoglio che registrano flussi positivi per 0,1mld in opposizione all’andamento dalle gestioni collettive (-0,7 miliardi)”.
A questo, fanno eco i risultati di aprile 2019. Assogestioni conferma che il risparmio gestito di aprile si è chiuso con un rosso da 3,9 miliardi di euro, in ulteriore peggioramento rispetto a marzo, che aveva raggiunto un -597 milioni a causa dei deflussi sia dai fondi aperti sia dalle gestioni di portafoglio.
Ovviamente non sono numeri preoccupanti, ma in un certo senso bisogna iniziare a tenerne conto, per evitare che la flessione, ora lieve, diventi davvero rilevante. Non è facile capire quali possono essere stati i motivi di tale arresto o, almeno, è difficile che ce ne sia uno soltanto.
Apparentemente, le concause potrebbero essere tre:
- Prima causa: l’andamento ondivago è intrinseco nei mercati finanziari. Difficilmente si può pensare che un settore, specialmente quello finanziario, possa far registrare sempre una crescita costante. Nel 2018, il mercato finanziario ha mostrato segni di grande volatilità e a pagarne le conseguenze è stato anche il 2019, che si è trovato a dover fronteggiare l’onda lunga di questo rallentamento.
- Seconda causa: la fiducia che lega gli investitori agli asset manager e gestori sta venendo meno. Non è un caso che negli ultimi 10 anni i depositi in banca siano raddoppiati, arrivando alla media di circa 21 mila euro pro capite. Significa che gli italiani, come scrive Il Sole 24 Ore: “sembrano sempre più affezionati alla liquidità e più reticenti al rischio, come dimostra per esempio la crescente disaffezione nei confronti dei titoli di Stato, una volta tanto amati”. E sebbene il risparmio gestito sia riuscito negli anni ad intercettare parte di queste risorse, la maggioranza di queste viene preferibilmente versata nei conti correnti e lì sta. A contribuire a questa crisi di fiducia deve essere stata anche la condotta di alcuni intermediari finanziari, che talvolta hanno caricato le operazioni di spese eccessive. A confermarlo è uno studio dell’Esma (ovvero l’Autorità Eusopea degli Strumenti finanziari e dei Mercati) secondo cui “nel decennio 2008-2017 i costi degli strumenti azionari collocati in Italia (incluse le commissioni di sottoscrizione e riscatto) hanno inciso per il 37 per cento sulle performance lorde, ben oltre la media europea del 24 per cento. Nel caso dei fondi obbligazionari le commissioni pesano per il 33,5 per cento, contro la media continentale del 27”.
- Terza causa: gli italiani hanno smesso di essere un popolo di risparmiatori. Rispetto al passato, infatti, c’è da segnalare un trend interessante: gli italiani risparmiano sempre meno. Dal 2004 circa, le famiglie italiane hanno, infatti, attinto ai propri risparmi per fare fronte alla crisi e hanno preferito utilizzare il debito come strumento di spesa e investimento invece che ridurre i propri consumi, avvicinandosi così ad un modello di società anglosassone. A questo si aggiunga che proprio negli ultimi anni è emersa una nuova classe sociale cosiddetta aspirazionale. Essa rappresenta una parte della società, sempre più rilevante, che ha l’obiettivo di mantenere uno stile di vita piuttosto alto senza poterselo permettere. Tale tenore di vita è costituito da investimenti non vistosi, ma frequenti, e perlopiù legati a dei servizi: viaggi, ristoranti, master. Questi giovani adulti tendono a spendere poco ma spesso, preferendo le esperienze agli oggetti, anche a fronte di un reddito spesso basso e precario.
La soluzione?
Delle tre cause sopra elencate, certamente le ultime due sono le più interessanti perché rispetto ad esse ogni società di gestione del risparmio può effettivamente agire. Si tratta, infatti, di mettere in pratica una serie di attività che permettano di riacquistare la fiducia dei consumatori e, nello stesso tempo, di invertire un certo tipo di tendenza, spingendo gli stessi a valutare il risparmio gestito come un’opzione appetibile per le proprie risorse.
In entrambi i casi, adottare una strategia di marketing digitale può rivelarsi decisamente utile per un’efficace comunicazione nelle SGR. Non è un mistero, infatti, che la rete sia lo strumento ideale per raggiungere un maggior numero di risparmiatori in modo sempre più efficace. Tuttavia, sebbene siano chiari i benefici, non sempre è chiaro come ci si debba muovere.
In un interessante articolo di qualche tempo fa, pubblicato su Forbes e relativo al marketing digitale applicato al settore finanziario, l’autore si faceva una domanda, mutuandola dal linguaggio sportivo del baseball: “What’s inning are we in?”, ovvero: a che punto siamo? Nell’articolo ci si limitava a osservare che, sebbene l’industria finanziaria sia stata tra le prime ad adottare convintamente gli strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale, in generale, la maggior parte delle aziende non è neppure alla prima base quando si parla di comunicazione digitale.
Questo per una serie di ragioni:
- La prima è che un investimento in comunicazione non dà immediatamente dei ritorni in termini di profitti, ma richiede un po’ più di tempo prima di mostrare i propri benefici;
- In secondo luogo, perché tra le varie società – e questo vale anche per quelle di gestione del risparmio – c’è sempre qualche ritrosia circa l’utilizzo dei “nuovi” mezzi di comunicazione digitale come strumenti di marketing veri e propri;
- Il terzo motivo, legato strettamente al secondo, è che spesso le società hanno paura, che un’attività social possa, in qualche modo, intaccare la brand equity costruita così faticosamente in tanti anni;
- Spesso all’interno delle aziende mancano delle vere e proprie competenze per integrare gli strumenti digital e social all’interno di una strategia di comunicazione, soprattutto quando si parla dei secondi. Tra l’altro, a latitare, non sono soltanto le famose digital skills, ma mancano anche gli investimenti necessari a fare formazione delle risorse umane.
Se si riuscissero ad implementare gli strumenti che il marketing digitale offre, ogni azienda di intermediazione finanziaria ne avrebbe un grande beneficio, dal momento che i social sono ideali per intercettare le fasce più giovani della popolazione, che oltre ad essere più digitalmente avanzati sono anche maggiormente interessate ad investimenti di capitale a volte anche rischiosi (fonte: Accenture).
Tra l’altro, sono gli stessi che, da quanto è emerso da una ricerca condotta dall’Istituto Demia per Assogestioni, sarebbero disposti ad investire e comprare dei prodotti finanziari attraverso le principali piattaforme digitali (Facebook, Apple, Microsoft, Google e Amazon).
Verso la ripresa
Tuttavia, i dati precedenti fanno riferimento ad un periodo passato di crisi e li abbiamo mostrati per offrire uno sguardo chiaro a ciò che è successo negli ultimi anni. In ogni caso, oggi sembra che qualcosa stia cambiando nel settore. Il Sole 24 Ore ha diffuso dei dati molto interessanti a riguardo.
Con 12 dati positivi su 12 mesi l’industria del risparmio gestito nel 2021 ha incassato 91,7 miliardi, mentre il patrimonio è salito a quota 2.883 miliardi. Nel dicembre 2021, il settore ha raccolto 7,8 miliardi, sostanzialmente in linea con il dato del mese precedente. Sono stati ancora una volta i fondi comuni a tirare la volata dell’intero settore con un saldo positivo per 5,8 miliardi, in crescita rispetto ai 3,5 rastrellati a novembre.
Positivi per 1,2 miliardi anche i fondi chiusi, mentre hanno rallentato le gestioni di portafoglio, passate da 3,2 miliardi a 820 milioni, complice il risultato negativo dei mandati istituzionali (-623 milioni).
Tornando al patrimonio, sulle masse in gestione a dicembre è aumentato il peso di quelle collettive (52%), mentre è sceso al 48,1% quello delle gestioni di portafoglio.
Insomma, nonostante i recenti risultati positivi che dimostrano che qualcosa si sta muovendo, la situazione è ancora abbastanza altalenante, ragion per cui, in seguito, vi forniremo consigli per evitare 5 errori che si commettono comunemente nella comunicazione nelle SGR.
5 errori fatali di comunicazione nelle SGR
La situazione è dunque questa: ci sono grandi opportunità e anche gli strumenti per coglierle, ma in un certo senso il tempo stringe. La domanda che resta è una sola: da dove cominciare? Senza dubbio da una lista di cose da non fare.
1. Non prevedere l’utilizzo dei social
È scontato, ma è così: nessun business può più fare a meno delle piattaforme social.
Il motivo è semplice: i social permettono agli intermediari finanziari di intrattenere dei rapporti rilevanti per il proprio business, sia con potenziali clienti che con dei colleghi. Una buona percentuale degli stessi operatori del settore ha infatti confermato che i social network hanno giocato un ruolo fondamentale nelle attività di marketing e di procacciamento di nuovi clienti (fonte: Wall Street Italia).
Escludere tali piattaforme significa sostanzialmente privarsi di nuovi ed efficaci touch point e rinunciare a raggiungere i propri clienti in un modo che per loro sia rilevante.
2. Essere uguale agli altri
L’errore più grande è quello di pensare che sia sufficiente trasportare all’interno dei social i classici messaggi di marketing usati anche nell’out of home. Al contrario, occorre fare qualsiasi cosa per distinguersi.
Tuttavia, non sempre questo viene fatto, anzi. È stato rilevato che nella comunicazione nelle SGR di 100 società europee ed americane del settore della gestione degli asset finanziari, le parole utilizzate per descrivere il proprio business sono sempre le stesse e più o meno sempre ricorrenti (fonte: peregrinecommunications.com).
Ed è paradossale se si considera che l’industria della gestione del risparmio, così come quella dell’intermediazione finanziaria in generale, ha a disposizione un linguaggio molto tecnico, specifico e diversificante.
In questo senso, presidiare i social senza essere creativi o, perlomeno, diversi significa disperdere la propria voce nel brusio.
3. Parlare di sé
Tra amici c’è sempre quello che tende a parlare sempre troppo di sé ed è comprensibile che alla lunga le altre persone si annoino. Lo stesso accade anche quando ci si rivolge ai clienti.
La trasformazione digitale e l’avvento dei social network hanno radicalmente cambiato la struttura della comunicazione nelle SGR. Non si deve più ragionare secondo una logica di broadcasting di uno a molti. Al contrario, la rete ha ridotto la distanza tra utente e azienda, e la dinamica è evidentemente cambiata: l’utente parla e tratta l’azienda come un proprio pari.
Questo significa che a fare la differenza non è più (solo) l’oggetto che si vende, ma soprattutto il rapporto tra società e consumatore e questo rapporto è percepito di qualità tanto più è sbilanciato verso l’utente. Da questo punto di vista, i social forniscono all’azienda uno strumento formidabile per venire incontro ai propri clienti, ascoltandoli e processando le loro richieste in maniera rapida, efficiente e personalizzata.
In altre parole, un miglior uso dei social equivale ad una migliore customer experience, che è la chiave moderna di un business di successo.
4. Non utilizzare tutte le tecnologie che si hanno a disposizione
La trasformazione digitale ha fornito alle società di gestione del risparmio e agli intermediari finanziari in generale, una serie di strumenti che possono rivelarsi molto utili per la crescita del proprio business.
Una di queste è la tecnologia Blockchain, che è un sistema di raccolta e gestione dei dati, strutturato in blocchi che contengono transazioni e che sono collegati tra loro in modo che ciascuna di queste transazioni avviata sulla rete sia validata dalla rete stessa attraverso l’analisi di ciascun blocco.
In sostanza questo rende le informazioni immodificabili e la loro protezione più sicura anche se condivisa. Grazie a questa tecnologia è possibile sincronizzare le operazioni, ovvero dare la possibilità ai gestori, alle piattaforme, ai trader, ai contabili dei fondi, ai depositari e ai clienti di accedere ai dati liberamente e simultaneamente, evitando costosi disallineamenti informativi.
Dai primi test per distribuire fondi comuni tramite Blockchain è emerso che questa nuova via permette di garantire una maggiore sicurezza e un notevole risparmio di tempo nello svolgimento di procedure che altrimenti richiederebbero diversi giorni.
Un’altra tecnologia molto promettente per il settore è l’Intelligenza Artificiale. Le sue applicazioni sono molteplici: dai chatbot, che permettono alla società di fornire una customer experience personalizzata 24 ore su 24, fino ai robo-advisor, come quello implementato da BlackRock che è in grado di analizzare il mercato e individuare le migliori soluzioni di investimento per i clienti (fonte: Ansa).
Precludersi queste ed altre tecnologie per timore o incapacità di sviluppare le competenze adeguate significa porsi in una situazione di svantaggio rispetto ai propri competitor già in partenza.
5. Improvvisare
La presenza sui social, l’uso degli stessi, l’implementazione di nuove tecnologie non sono cose che può fare chiunque. Il fatto di avere un proprio profilo su Facebook non ti rende un Social Media Manager come avere una passione per la scrittura non ti rende un copywriter o un esperto di linguaggio SEO.
Tutto questo per dire che per costruire un’efficace strategia di digital marketing occorrono delle competenze specifiche, che non si improvvisano. Anche perché, quando si usa la comunicazione sui social si gioca in un campo molto rischioso, quello della reputazione.
Muoversi senza avere le competenze giuste è forse l’errore più grave perché si rischia di provocare delle vere e proprie crisi aziendali che vanno ad intaccare la brand equity.
In questo senso le alternative sono due: sviluppare internamente delle competenze, in modo che il reparto marketing sia preparato, oppure affidarsi a partner di fiducia come Doxee, che siano in grado di indicare le corrette strategie e gli strumenti giusti per trasformare il digitale in un’incredibile opportunità di crescita per il proprio business.