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Cos’è il Continuous Transaction Control? 

La trasformazione digitale è un fenomeno ormai trasversale nell’attuale contesto sociale ed economico e lo dimostra il fatto che non c’è un singolo settore che non sia stato toccato da questo cambiamento e che non debba fare i conti con le nuove tecnologie, sia nel privato che nel pubblico. 

D’altro canto, sia le Pubbliche Amministrazioni nazionali che le istituzioni sovrannazionali (europee e non) si trovano sempre di più nella condizione di dover adottare specifiche tecnologiche per stare al passo con i cambiamenti dei comparti economici e soprattutto per rendere il proprio lavoro più efficace, efficiente ed affidabile. 

Da questo punto di vista, il Continuous Transaction Control è un perfetto esempio di come l’innovazione digitale possa cambiare l’approccio della Pubblica Amministrazione rispetto a una determinata questione particolarmente delicata come quella del controllo e della gestione fiscale delle diverse attività economiche.

D’altro canto, il Continuous Transaction Control rappresenta anche una sfida notevole che ogni paese deve a suo modo affrontare e vincere, dal momento che l’implementazione di nuove soluzioni digitali come questa non è sempre semplice e deve fare i conti con delle resistenze interne, dei ritardi strutturali di sviluppo e la mancanza di competenze specifiche nell’utilizzo di determinati strumenti. 

Per non parlare poi del fatto che la digitalizzazione spesso comporta l’allargamento del frame operativo di riferimento, che non è più la realtà nazionale, ma richiede l’armonizzazione con gli altri paesi.

Il digitale, infatti, se da un lato rende il mondo “più piccolo” poiché facilita le operazioni e le transazioni che superano i confini, dall’altro lato rende necessario lo sviluppo di sistemi e piattaforme uniformi con cui interfacciarsi, indipendentemente dai paesi coinvolti 

E proprio questo aspetto è uno di quelli più problematici del Continuous Transaction Control, specialmente in Europa. Ma andiamo con ordine. 

 

 

Continuous Transaction Control: lo shift globale della gestione tributaria 

La EESPA (ovvero l’European E-invoicing Service Providers Association) definisce il Continuous Transaction Control come una forma di reporting o di liquidazione basata sulle transazioni, sulle fatture effettivamente emesse o su un sottoinsieme della fattura.

In altre parole, dunque, il Continuous Transaction Control è uno strumento digitale sviluppato e adottato da alcuni stati che rende più efficace la lotta alle truffe e all’evasione fiscale e riduce il gap nel calcolo dell’IVA durante la fatturazione. 

Il Continuous Transaction Control, tuttavia, è solo “l’ultimo miglio” di un percorso che molti Paesi hanno intrapreso da tempo per rendere più efficiente il controllo sulle transazioni nazionali e internazionali e prevenire comportamenti fraudolenti in fase di fatturazione o di dichiarazione dei redditi. 

Da sempre, infatti, questa attività di controllo fiscale paga delle problematiche per così dire strutturali. 

Del resto, per come è concepito tradizionalmente, il meccanismo di monitoraggio e di accertamento fiscale mette le autorità di controllo in una posizione difficile, dal momento che la regolarità delle transazioni è verificabile solo ex post, poiché bisogna aspettare il report del contribuente prima di potersi muovere in un modo o nell’altro. 

Questo però è un problema sotto molti punti di vista. Innanzitutto, attivarsi “tardi” significa per le autorità dover impiegare più risorse per recuperare le informazioni rilevanti ricostruendo movimenti e operazioni risalenti nel tempo.  

In secondo luogo, le verifiche possono spesso dipendere dalla reportistica fatta dagli stessi contribuenti, i cui report però sono naturalmente limitati, coprendo solo un dato periodo e, pertanto, pongono alle stesse autorità un “confine” di verifica che non è facile da estendere richiedendo documenti non sempre disponibili.

Infine, un’impostazione di questo tipo rende molto difficile la prevenzione e limita l’intervento delle autorità a una verifica successiva ed eventualmente ad un’attività sanzionatoria. 

Per ovviare a tutti questi “problemi”, le stesse autorità hanno intrapreso (come si diceva) un percorso di innovazione che ha portato ad adottare alcune soluzioni digitali che presto sono diventate condivise. 

Si pensi, ad esempio, all’imposizione dell’obbligo di fatturazione elettronica, che dopo un percorso partito con il decreto legislativo 127/2015 in attuazione alla legge delega di Riforma fiscale, è finalmente stata introdotta in Italia, prima per le transazioni fatte verso la Pubblica Amministrazione e in un secondo momento anche per quelle tra privati. 

 

 

I dati al servizio dell’efficienza 

Questo tipo di misure rientra esattamente dell’alveo funzionale e concettuale del Continuous Transaction Control, dal momento che sfrutta la trasformazione digitale per migliorare l’efficienza, l’efficacia e la qualità dei servizi pubblici. 

In questo senso, giocano un ruolo fondamentale le piattaforme digitali e i sistemi di gestione in cloud che garantiscono alle autorità preposte (come l’Agenzia delle Entrate) di poter raccogliere una grande quantità di dati a cui avere rapidamente accesso in ogni momento. 

Ma ciò che più importa è che questi dati vengono ottenuti praticamente “in presa diretta”, contestualmente al momento della fatturazione o comunque in un momento immediatamente successivo. 

I sistemi di Continuous Transaction Control permettono, infatti, di raccogliere e al bisogno estrarre le informazioni più rilevanti attraverso una piattaforma digitale riconosciuta in cui si registrano le transazioni e che si aggiorna in tempo reale e riporta tutte le attività di una determinata azienda. 

Al di là della componente tecnica, l’aspetto interessante è la novità in termini di approccio: si abbandona un approccio statico, e le autorità di controllo diventano parte proattiva del processo, svolgendo più velocemente ed efficacemente le attività di verifica e di riscossione. 

Non si fatica a credere che, come la fatturazione elettronica ha avuto un effetto positivo in termini di gettito, così anche i sistemi di Continuous Transaction Control possono far emergere un gettito nascosto da frodi ed evasioni, trasformando una scelta di politica fiscale in un’occasione per generare entrate per lo Stato e abbassare contestualmente la pressione delle imposte, innescando così un circolo virtuoso. 

 

 

Non tutto è semplice come sembra 

Se i vantaggi di un sistema di Continuous Transaction Control sono innegabili, occorre però sottolineare come l’ottenimento di questo tipo di benefici è tutt’altro che semplice dal momento che l’implementazione delle tecnologie CTS rappresenta un problema non secondario da affrontare.

Se è vero, infatti, che tutti gli stati europei e non solo si sono impegnati fortemente per adottare soluzioni digitalizzate per migliorare l’efficienza della gestione tributaria scegliendo molto spesso proprio dei sistemi di Continuous Transaction Control, è altrettanto vero che questo processo è stato spesso disarmonico e scoordinato.

Invece di seguire un piano unico e condiviso di trasformazione digitale in materia, ciascuno stato europeo ha preferito conservare la propria “sovranità tributaria” compiendo interventi diversi, talvolta disorganici e in tutti i casi differenziati da paese a paese, facendo a volte degli scatti in avanti o preferendo rallentare o ritardare l’implementazione a seconda di interessi politici nazionali. 

Questo è stato possibile perché a livello internazionale, non esiste un vero e proprio frame tecnologico, amministrativo e legale di riferimento in base al quale tutti si possano muovere e adottare le stesse misure.

Il risultato di tale disordine è evidente: se sul piano nazionale la digitalizzazione sortisce certamente degli effetti positivi, quando le transazioni si spostano sul piano internazionale, il rischio è quello di non avere dei sistemi di controllo e di verifica adeguati. 

Ancora peggio, questa disarmonia rappresenta anche un notevole svantaggio competitivo, dal momento che rende più complesso lo svolgimento di transazioni tra paesi in zone diverse, rendendole di conseguenza meno “invitanti” a favore di altre che invece sono in grado di attrarre più facilmente investimenti. 

 

I principi di un’armonizzazione necessaria 

Per far fronte a questa situazione decisamente complessa, che potenzialmente potrebbe far venire meno i vantaggi che i sistemi di Continuous Transaction Control sono in grado di assicurare, l’International Chamber of Commerce ha stilato una lista di principi che dovrebbe aiutare a rendere più uniforme l’implementazione dei modelli di CTC. 

Prima però occorre fare una premessa. 

L’International Chamber of Commerce (ICC) è un’organizzazione privata che rappresenta a livello mondiale tutti i settori dell’attività imprenditoriale e che lavora per “promuovere gli investimenti, l’apertura dei mercati di beni e servizi e la libera circolazione dei capitali”. 

Dunque, anche se è un ente privato, l’ICC ha una autorevolezza assoluta e riconosciuta in tutto il mondo, che le permette tra le altre cose di redigere policy e stabilire norme standard per il commercio internazionale a cui tutti gli altri stati si adeguano. 

Pertanto, i principi di armonizzazione elencati per i sistemi di Continuous Transaction Control nazionali non sono un esercizio teorico, bensì un’indicazione molto stringente con cui tutti i Paesi devono fare i conti. 

Scendendo nel particolare, la Camera di Commercio Internazionale stabilisce che ogni implementazione di soluzioni di CTC nazionale deve rispettare i seguenti valori (fonte ICCWBO.org):

  1. equilibrio: ogni sistema deve trovare un bilanciamento tra la necessità di aumentare l’efficienza della raccolta delle imposte e l’obiettivo di mantenere alta e costante la crescita;
  1. efficienza: le soluzioni adottate devono garantire il massimo dell’armonizzazione, dell’interoperabilità, della continuità e dell’affidabilità intesa sia per i soggetti del settore pubblico che quelli del settore privato;
  1. comprensibilità: tutti devono poter comprendere esattamente i motivi e i benefici che vengono assicurati dai sistemi di Continuous Transaction Control;
  1. cooperazione: le verifiche fatte attraverso i sistemi di CTC devono essere basate su un quadro giuridico comune e su un regime di conformità cooperativo in modo tale che ogni cambiamento avvenga senza stravolgere il contesto di armonizzazione generale;
  1. trasparenza: i requisiti, le scadenze e le modalità operative previste dal proprio sistema di Customer Transaction Control devono essere comunicati dalle autorità competenti in modo tale che siano comprensibili a tutti (in questo senso si può rendere necessaria la redazione di una guida chiara ed esaustiva);
  1. privacy: tutti i dati che le autorità o gli operatori del settore ricevono o maneggiano attraverso i sistemi di CTC sono e devono essere sempre e comunque protetti dalle normative internazionali in vigore a tutela della privacy, della protezione e della sicurezza dei dati. Del resto, controlli continui non significa controlli invasivi.
  1. principio di minor impatto e di non discriminazione: ovviamente l’applicazione e l’implementazione dei sistemi di CTC deve avvenire non solo nel rispetto dei principi sopra elencati, ma anche garantendo che le misure non provochino delle discriminazioni tra fornitori di servizi residenti e non residenti nel paese. In altri termini, deve essere assicurata una forma di competizione il più possibile corretta, in modo tale che le tecnologie si sviluppino liberamente andando incontro alle necessità di ogni singolo stato.

 

Una sfida per il futuro 

Questi principi, per quanto non siano vincolanti, sono comunque fondamentali da seguire per essere sicuri che tutti i paesi siano in grado di portare avanti un’implementazione il più possibile organica e armonica. 

Ma ovviamente i principi non bastano: sviluppare e applicare un sistema di Continuous Transaction Control è un’operazione tutt’altro che semplice, che quasi sicuramente richiederà molto tempo e che impegnerà buona parte dei paesi nel prossimo futuro. 

Del resto, basta pensare che il Messico, uno dei primi stati a muoversi verso l’adozione di soluzioni CTC, ha impiegato quasi dieci anni a completare questa trasformazione decisiva e ancora prevede nei prossimi anni di impegnarsi per compiere interventi migliorativi delle proprie tecnologie. 

Ciò significa che il CTC sarà una sfida che terrà banco le agende di tutti: si stima, infatti, che le principali economie emergenti e buona parte dei paesi pienamente industrializzati saranno impegnate in questo percorso almeno fino al 2030, anno in cui si stima che si potrà raggiungere un livello di maturità e consapevolezza accettabile in materia. 

Ma d’altronde non è pensabile rinunciare a una sfida di questo tipo, considerati i grandi benefici che questo tipo di innovazione comporta. 

 

Un lavoro corale per un risultato unico 

Proprio perché l’obiettivo da perseguire non è per niente scontato e la posta in gioco piuttosto alta, l’implementazione di un efficace sistema di Continuous Transaction Control non può riguardare solamente la Pubblica Amministrazione.  

Le stesse autorità internazionali dovrebbero muoversi per facilitare l’adozione di regimi di CTC fornendo delle disposizioni quadro o attivandosi per immaginare un’infrastruttura digitale europea condivisa a cui fare riferimento. 

Qualche cosa è stato fatto, soprattutto dal punto di vista delle consulenze e delle collaborazioni con alcuni partner tecnici per conoscere lo stato dell’arte e per ipotizzare eventuali interventi. 

Tuttavia, consulenze e collaborazioni non sono sufficienti, anche le aziende devono muoversi preventivamente sfruttando l’accelerazione della trasformazione digitale di questi anni per implementare delle soluzioni di fintech (come dei sistemi digitali di tax compliance) in modo da farsi trovare pronte quando dovranno poi avere a che fare con i nuovi requisiti richiesti da un sistema di CTC. 

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